Mare pattumiera, crescono di anno in anno i rifiuti sul fondo del Mediterraneo e degli Oceani.

Un recente studio internazionale a cui ha partecipato anche l'Università di Cagliari fornisce un quadro allarmante: in alcuni casi la densità della spazzatura depositata sui fondali sarebbe addirittura paragonabile a quella delle grandi discariche presenti sulla terraferma.

Un trend che è destinato a continuare e crescere, tanto che entro i prossimi 30 anni il volume dei rifiuti marini potrà superare i tre miliardi di tonnellate.

Milioni di tonnellate "fantasma" fino a quando non risalgono un superficie con le reti a strascico che oltre a naselli, scampi, gamberi e altre specie di pesci e crostacei catturano anche plastiche, pneumatici, bidoni, resti di reti da pesca e spesso anche rifiuti pericolosi. Secondo l'indagine, solo l'uno per cento è visibile perché spiaggiato o galleggia sulla superficie del mare, mentre il restante 99% sprofonda depositandosi negli "abissi".

Anche per questo il problema è globalmente riconosciuto come minaccia dilagante. E ora, dopo l'inizio dell'emergenza Covid, alla "tradizionale" spazzatura si stanno aggiungendo mascherine, guanti e i tanti dispositivi di protezione usati per far fronte all'emergenza Coronavirus.

Il ricercatore cagliaritano Alessandro Cau (foto @UniCa)

Lo studio-denuncia firmato da un team di ricercatori (tra i quali Alessandro Cau del Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente dell'Ateneo di Cagliari) è stato pubblicato sulla rivista scientifica Environmental research letters e arriva a distanza di due anni, e dopo indagini specifiche approfondite, l'importante workshop sul tema organizzato a Bremerhaven (Germania) dal Joint Research Center della Commissione Europea e l'Alfred Wegener-Institut. In quell'occasione, furono messi a confronto i massimi esperti mondiali con l'obiettivo di giungere alla stesura di un documento che fornisse la sintesi delle attuali conoscenze sui materiali di origine umana depositati sul fondo e sulle metodologie per migliorare il lavoro futuro, al fine di fornire informazioni dettagliate per le future misure di gestione della problematica.

Tra gli autori presenti al simposio tedesco anche Alessandro Cau, insieme ad altri 27 studiosi di Barcellona, delle Azzorre, della Germania, dei Paesi Bassi, della Norvegia , degli Stati Uniti, del Giappone, della Francia, del Regno Unito.

Proprio Cau, con i colleghi del Dipartimento, Claudia Dessì, Davide Moccia, Cristina Follesa e Antonio Puddu, aveva scoperto la preoccupante percentuale di microplastiche in alcuni crostacei come i gamberi e gli scampi, tra l'altro specie di importante valore commerciale. Un'ulteriore ricerca aveva anche dimostrato che ad elevate profondità, oltre i 1000 metri, spesso la biomassa pescata con lo strascico (pesci, crostacei, molluschi) è uguale o inferiore a quella dei rifiuti.

Numerosi siti dei nostri mari hanno suscitato l'interesse della comunità scientifica per la loro posizione in prossimità di alcune tra le rotte navali più trafficate del Mediterraneo e del mondo: ne sono un esempio il canyon di Nora e le bocche di Bonifacio, siti che ospitano una ricchissima biodiversità che purtroppo è minacciata dalle attività umane e dalla pesca. Sul fondo di entrambi i siti - anche a 450 metri di profondità - sono stati ritrovati diversi oggetti, come pneumatici e altri detriti. Plastiche, metalli, vetro, ceramica, attrezzature da pesca, tessuti e carta sono tra i materiali più abbondanti.
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