La matita magica di Gavino Sanna e i suoi amici di Piazza Garibaldi
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Nel 1950 Gavino s'innamorò della Juventus, aveva 10 anni e i suoi amici lo chiamavano "Canni Grassu", culo grasso. La scintilla scoccò quando vide la fotografia di una splendida rovesciata di Carlo Parola, eseguita all'ultimo minuto di un Fiorentina Juventus e immortalata dal famoso reporter di guerra prestato al calcio Corrado Bianchi.
Quello scatto diventò subito leggenda. Anche per questo Gavino smaniava per un bel pallone di cuoio, di quelli cuciti a mano con la camera d'aria all'interno. Zio Mario lo venne a sapere e la notte di Natale fece a suo nipote una bella sorpresa. Gavino trovò una splendida palla di serie A sotto l'albero e quando prese in mano il regalo era il bambino più felice del mondo. Nella palla marrone c'era scritto in giallo "Carlo Parola", proprio lui, il suo idolo, quello della fotografia, il centromediano juventino. Gavino però non sognava di fare il difensore, ma il portiere. In quel ruolo lo avevano relegato i suoi amichetti di Piazza Garibaldi a Porto Torres e Gavino ci prese gusto.
Quando Canni Grassu fece l'ingresso trionfale in Piazza Garibaldi, col pallone nuovo di zecca, tutti i suoi amici gli vennero incontro ad osservare quella meraviglia lucida e marrone, loro che erano abituati a giocare con una palla di vescica di maiale gonfiata. I capitani delle squadre si fecero subito il "tocco", per scegliersi i compagni. La contesa iniziò, aspra e cruenta. Gavino non voleva accettare l'umiliazione di farsi segnare tanti gol col suo pallone nuovo. Quando Capasso minaccioso gli si fece incontro palla al piede, azzardò impavidamente l'uscita, sfruttando l'attimo di rilassamento dell'avversario, oramai sicuro di fare gol. Gavino in corsa si mise di traverso, il tiro rasoterra dell'attaccante rimbalzò nei suoi fianchi e terminò sul fondo. Capasso rotolò a terra, travolto dall'impeto dell'estremo difensore. Il centravanti, deluso per la segnatura mancata e convinto di aver subito fallo, si alzò furibondo. Anche Gavino si rimise subito in piedi, esibendo nei denti la sua grinta.
I due sembravano tori pronti a scornarsi: Capasso smilzo e nero, Gavino candido e corpulento. A placare gli animi ci pensò Mario, il più robusto della compagnia e perciò rispettato da tutti. In realtà Mario pensava che il confronto fosse impari, in quanto Capasso risultava di qualche anno più grande di Gavino, perciò ai suoi occhi più smaliziato. La partita continuò abbastanza nervosa. La squadra di Gavino perse 3 a 2, ma il giovane portiere disputò la più bella partita della sua vita e per quella volta Antonio Capasso rimase a secco. Perciò, spalleggiato dai suoi scudieri, volle la rivincita a schiaffi, usanza dei pargoli di quel periodo.
Ci pensò sempre Mario a fermare gli ardori dei suoi amichetti briganti. Per lui Gavino era intoccabile. Ma cosa aveva Gavino di particolare per essere difeso cosi strenuamente? Una dote, una grande dote: il disegno. Nessuno in Piazza Garibaldi sapeva usare la matita come lui. In pochi secondi catturava l'essenza di un gesto, di un movimento, persino di un rumore. Disegnava uguali i propri compagni, ma anche i pescatori che aggiustavano le nasse, le massaie che arrostivano il pesce sull'uscio di casa, i giocatori di bocce di Via Eleonora Arborea, gli amici che dopo il lavoro bevevano un bicchiere di vino.
Mario arrivò a pensare che la matita di Gavino fosse magica. Una volta gliela chiese e cercò di fare qualcosa. Inutilmente. Mario aveva per Gavino una sincera ammirazione, ma cominciavano ad averla anche i suoi compaesani e i suoi compagni di classe, nonostante Gavino esagerasse a volte nei ritratti. Aveva infatti preso l'abitudine di risaltare con sottile ironia i tratti delle persone: un modo tutto suo per smascherarne l'anima. Spesso accompagnava i disegni con scritte, talvolta irriverenti. La sua arte era riassumere un argomento in due o tre parole, a volte anche in una. Tutto questo necessitava di talento e acuta intelligenza.
In famiglia si erano accorti di queste qualità e infatti qualche anno più tardi decisero di far iscrivere il ragazzo al liceo artistico Filippo Figari, dove ben presto si mise in luce. Non era più il bambino timido e grasso di un tempo, ma era diventato alto, magro e con una personalità ben definita. Il calcio continuava naturalmente a piacergli, come del resto il pugilato, sport a Porto Torres di grandi tradizione, allora guidato dal grande maestro Baciccia Martellini. Il suo amico Mario, Mario Altana, forse il più bel ragazzo mai cresciuto in città, era diventato nel frattempo un formidabile pugile con un fisico statuario, ambitissimo da tutte le ragazze. Gavino non si perdeva mai un suo incontro. Gli piacevano quelle atmosfere frizzanti, cariche di passione e virilità. Non se le sarebbe mai dimenticate. A lui e agli altri tifosi quei formidabili pugili turritani parevano eroi greci, uomini invincibili. E forse per un periodo lo furono per davvero.
Ma ora, dopo il diploma, per Gavino era giunto il momento di partire, di osare, di scegliere tra una vita sicura ma anonima in casa e quella di un viaggio avventuroso verso l'ignoto. Scelse la seconda ipotesi e poco più che ventenne prese il bastimento per Genova, direzione Milano. Stavano per cominciare i mitici anni Sessanta, che avrebbero scombussolato il mondo. Gavino si mise alle spalle i suoi affetti e tutta la sua giovinezza, vissuta in modo semplice, tra gente perbene. A Milano nel suo settore, la pubblicità, cominciò ben presto a farsi un nome. Poi girò il mondo, dimorò per lunghissimi anni in America, riscuotendo un enorme successo e lavorando persino per il Governo degli Stati Uniti, con Richard Nixon. Dentro di sé rimase irrimediabilmente sardo, con l'orgoglio di appartenere ad una terra ruvida e meravigliosa, che gli diede il coraggio di sopportare tutte le angherie della vita.
Quel Gavino, portiere mancato, appassionato di calcio e di pugilato, cultore dell'arte, si chiama Gavino Sanna. Dotato di uno straordinario e precoce talento, per far conoscere i suoi prodotti bussò con gentilezza alle porte delle case, chiese il permesso di entrare e divenne il pubblicitario più famoso e premiato del mondo.
Nonostante la sua fama Gavino, ora produttore di vini pregiati, non si dimenticò mai dei suoi amici e torna spesso a Porto Torres, la sua amata città. Molti di quei ragazzi di un tempo non sono più tra noi, fra i quali il mitico Mario Altana, grandissimo pugile, gigante buono, uomo generoso e sfortunato, che Gavino ha magistralmente immortalato in una pagina di un suo libro. Gavino Sanna e i bambini di Piazza Garibaldi sono rimasti sempre legati da profonda amicizia, come col calciatore Antonio Capasso (uno dei più bravi nel Sorso) o con l'altro pugile Francesco Fiori, che ha ancora un fisico da fare invidia ad un ragazzo. Tutti i ragazzi di allora si sono costruiti una vita dignitosa: pescatore, tecnico d'industria, spedizioniere, operaio.
Gavino Sanna è quello andato più lontano, ma in Piazza Garibaldi i bambini erano tutti uguali. In tempi duri ma felici, giocavano liberi e spensierati: a pallone, con la trottola e le biglie di vetro. Sono stati tutti interpreti meravigliosi di una generazione irripetibile.