Nel dicembre 1940, un giovane ufficiale degli alpini, Ottone Menato, viene catturato in Egitto dagli inglesi. Dopo una fuga avventurosa viene arrestato nuovamente in Yemen e trasferito nei campi di prigionia britannici in India. Ma Ottone non si rassegna: evade dai reticolati di Bangalore con tre commilitoni. Braccato nella giungla infestata da pantere, serpenti e altri animali feroci, è aiutato da pastori e contadini indiani. Riacciuffato, questa volta viene internato alle pendici dell’Himalaya, dove dove scopre un microcosmo inaspettato: teatri con attori che recitano in abiti femminili, cinema sotto le stelle, dibattiti culturali e una comunità che, dopo l’8 settembre 1943, si spacca tra antifascisti, con più possibilità di movimento, e la cosiddetta Repubblica fascista dell’Himalaya, i non-collaboranti rinchiusi nel campo 25.

Ottant’anni dopo, Carlo Pizzati, discendente di Ottone e scrittore che vive in India da quindici anni, si mette sulle tracce del prozio. Nasce così Il fuggitivo (Neri Pozza, 2025, Euro 21,00, pp. 320. Anche Ebook), romanzo-reportage in cui tra Mumbai, Bangalore e Dharamsala, tra archivi segreti e ricostruzioni dei piani dell’intelligence britannica per “rieducare” i prigionieri italiani, emerge un dialogo intimo con il passato che intreccia l’India di oggi, proiettata verso un futuro sempre più potente, con quella degli anni Quaranta, in bilico tra colonialismo e indipendenza.

A Carlo Pizzati abbiamo chiesto prima di tutto come è nata l'idea di recuperare dall’oblio la vicenda di Ottone Menato?

“Vivevo in India già da cinque anni quando rilessi Latin Lovers, il romanzo che mio prozio Ottone Menato aveva pubblicato nel 1968 sui suoi sei anni di prigionia tra Egitto, Bangalore e Dharamsala, durante la Seconda guerra mondiale. Improvvisamente, capii che la mia idea di India s’era formata anche su quelle pagine. Ottone, l’eroico tenente degli alpini che fu poeta, giornalista e scrittore, mi si ripresentò carismatico e brillante come lo ricordavo. Mi parlava attraverso il personaggio del suo alter-ego in quel romanzo, Diego Taranto. E aveva molto da raccontarmi. L’ho ascoltato. Da questo dialogo con il fantasma, ripercorrendo le tappe di Latin Lovers nell’India di oggi, è nato Il fuggitivo”.

Quale India incontrò Ottone durante la sua odissea?

“Immagini Ottone e i suoi compagni che attraversano le foreste a nord di Bangalore, braccati dalla polizia militare. I serpenti nel fogliame dei giacigli dei fuggitivi, due pantere che sbucano tra i cespugli. E poi il tradimento: i finti amici che arrivano coi gendarmi. Ma anche un contadino ricco che dà un banchetto nella sua reggia in onore dei fuggitivi. Negli archivi privati del Museo della storia orale a Bangalore, ho trovato testimonianze di anziani che da piccoli marciavano per 10 chilometri pur di vedere i calciatori prigionieri, tra i quali lo zio Ottone, alla partita della domenica contro i britannici. Molti indiani tifavano per l’Italia, inneggiando anche a Hitler. Perché? Per l’antica regola che i nemici dei loro nemici, i britannici che occupavano la loro terra, diventavano amici”.

In che modo Ottone si confrontò con una Paese tanto lontano dal suo?

“Nei suoi diari dalla calligrafia elegante, arricchiti da ritagli d’epoca, ho trovato un uomo affamato di comprensione, uno studioso che voleva capire geografia, storia e soprattutto religioni dell’India. C’era amore per quel Paese, nonostante i carcerieri che uccisero alcuni suoi compagni fossero indiani. Ottone studiò i testi sacri, che lo trasformarono. Rimpatriato, praticò lo yoga per anni, in anticipo sulla moda hippie degli anni Sessanta. Quasi settanta anni dopo di lui sono arrivato in India per studiare yoga, meditazione e decifrare la medicina ayurvedica. Ma ispirato anche da Ottone, come ho capito scrivendo Il fuggitivo”.

Cosa rimane di quell'India di oltre ottanta anni fa oggi?

“Nelle stesse zone dove Ottone fuggiva, ho trovato templi antichi accanto a baracchini dove si comprano i cocchi con un tocco dello smartphone, nella Silicon Valley indiana di Bangalore. Oggi è una città diffusa che pullula di capannoni. La storia millenaria dell’India è fatta di improvvise accelerate e lunghe stasi, avvolta nella tradizione e in una religiosità che sopravvive con un’intensa devozione. Resta, di conseguenza, un rapporto sacro con l’ospite, una certa dolcezza, spesso travisata dagli europei per arrendevolezza, una forte pazienza, scambiata per rassegnazione”.

Dove sta andando l'India?

“In 15 anni ho visto l’India superare economicamente l’Italia e altri Paesi che si considerano sviluppati. Nuove autostrade, aeroporti, grattacieli, fermento industriale. Ma il vero miracolo è che conserva ancora quella paziente forza che Ottone aveva intravisto 80 anni fa. Se riuscisse a smontare i monopoli e distribuire meglio questa ricchezza, l’India sarebbe davvero inarrestabile”.

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