Zuncheddu scarcerato: quasi una sentenza
Nel novembre 2023, col procedimento ancora in corso, la Corte d’appello di Roma decide di sospendere l’esecuzione della pena che il pastore di Burcei sta scontando da oltre trent’anni: il sopravvissuto, unico testimone della strage di Sinnai, è inattendibile.Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Continua la ricostruzione della lunga vicenda che per oltre 30 anni ha portato in carcere un innocente.
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Febbraio 1991-novembre 2023: trentadue anni e nove mesi di reclusione e poi, all’improvviso, la scarcerazione. Meglio: la “sospensione dell’esecuzione della pena”. Il 25 di quel mese Beniamino Zuncheddu torna in libertà: la Corte d’appello di Roma, davanti alla quale si celebra il processo di revisione della condanna all’ergastolo inflitta al pastore di Burcei, spariglia le carte con una ordinanza che apre le porte del penitenziario di Uta alla persona ritenuta responsabile della strage di Sinnai (8 gennaio 1991, tre cadaveri alle pendici del monte Serpeddì), che già da tempo gode della semi libertà (può uscire la mattina per andare a lavorare ma deve rientrare in cella la sera) e che ultimamente per un breve periodo (in quel momento già terminato) ha potuto usufruire di una precedente sospensione a causa della pandemia di Covid. Ma stavolta è diverso. E a Burcei è subito festa.
La notizia
Davanti all’istituto di pena il pastore abbraccia la sorella e la nipote e con loro piange di felicità, anche se moderata. «Non è ancora finita, voglio l’assoluzione» dice infatti Zuncheddu. Intanto però è libero per la prima volta dal giorno dell’arresto quale autore riconosciuto del triplice omicidio. Non potrà lasciare il paese (ha l’obbligo di dimora), ma non deve dormire in carcere. «Sono contento, oggi è una bella giornata», dice. Poco prima, ricevuta la notizia dalle guardine penitenziarie, la prima reazione è di incredulità. «Perché giocate coi miei sentimenti?», dice loro; poi capisce. E a quel punto riempie di fretta quattro buste con il poco che aveva in cella e va via, più velocemente possibile. «Quando sono uscito, i carcerati mi hanno salutato. Sono ottimista». Aveva 26 anni quando fu prelevato da casa nel febbraio 1991; ne ha 59 adesso.
La decisione
Il collegio capitolino prende una iniziativa teoricamente momentanea, perché la revisione è ancora in corso e la sentenza può confermare quella originaria (quindi la colpevolezza di Zuncheddu): lo spiegano bene gli stessi giudici scrivendo che, riguardo alle «articolate valutazioni» del Procuratore generale sulla richiesta di sospensione della pena avanzata nei giorni precedenti da Mauro Trogu, avvocato di Zuncheddu, si «riserva ogni apprezzamento all’esito della discussione finale» in programma il 19 dicembre 2023. Ma è una decisione comunque clamorosa anche in quanto inattesa, perché di fatto a una normale e logica prudenza si sostituisce quasi una anticipazione di sentenza. Perché mandare a casa un detenuto che rientrerebbe in cella neanche un mese dopo, se la decisione di tre decenni prima fosse confermata? Evidentemente, questa la convinzione generale, la Corte ha già le idee chiare.
Le motivazioni
E infatti, eccole. La Corte romana spiega che la condanna all’ergastolo «si basava sull’attendibilità delle dichiarazioni di Luigi Pinna», cioè il superstite, persona ritenuta nel 1991 «onesta, corretta, coerente» dalla Corte d’assise di Cagliari, che inoltre escluse «il travaso di informazioni» da parte del poliziotto Mario Uda. Il riferimento è al presunto lavoro di convincimento dell’investigatore sul sopravvissuto, fatto comunque in buona fede, riguardo la responsabilità di Zuncheddu nell’eccidio; così Pinna, che inizialmente disse di non aver riconosciuto il killer perché (così disse) aveva una calza da donna sul volto mentre gli esplodeva contro due fucilate, col tempo aveva cambiato versione (proprio dopo aver parlato più volte con Uda) e indicato nel pastore di Burcei il colpevole sostenendo che in realtà l’assassino non aveva quel collant sul viso e di averlo dunque riconosciuto.
Ma le intercettazioni disposte dalla procura di Cagliari nel 2020, grazie alle quali i carabinieri avevano potuto sentire il dialogo tra Pinna e la moglie subito dopo l’interrogatorio del superstite in procura generale (all’inizio del procedimento di revisione), nelle quali il ferito ammetteva che, prima di essere convocato dal pm per la testimonianza ufficiale, proprio Uda gli aveva fatto vedere in anteprima la foto di Zuncheddu (immagine che poi lo stesso Pinna pochi giorni dopo avrebbe indicato al magistrato inquirente sostenendo fosse quella persona ad aver compiuto la strage), sono adesso (nel 2023) «un elemento di rilevantissima portata» riguardo quella presunta «attendibilità».
Pinna, spiega il collegio, nel processo di revisione «ha dichiarato che l’assassino non aveva la calzamaglia, il che avrebbe dovuto consentirgli di vederlo in volto, poi ha affermato il contrario e infine ha sostenuto che in realtà non aveva riconosciuto l’aggressore e che l’allora ispettore Uda gli aveva fatto vedere la foto di colui che a suo giudizio era il vero colpevole convincendolo ad accusare Zuncheddu sostanzialmente “sulla fiducia”». Quindi quel «travaso di informazioni» escluso dall’Assise «è divenuta realtà processualmente accertata».
Il pastore
C’è poi il pastore Paolo Melis, ex dipendente dei Fadda, il quale confermò il movente agro pastorale (le liti per gli sconfinamenti del bestiame) e sostenne che Zuncheddu disse a Giuseppe Fadda «ricordati che quello che stai facendo alle vacche un giorno succederà a te». Una minaccia che ebbe un peso decisivo nella condanna. Anche Melis il 21 novembre a Roma ha dato una versione diversa, la quarte nell’arco di trent’anni su quella vicenda. Dunque: le dichiarazioni di Pinna erano una «prova diretta» che oggi «viene meno» per «l’inattendibilità» del superstite; e «inattendibili» sono anche «le dichiarazioni di Melis». I due elementi alla base della condanna.
Gli altri, tra cui «la falsità dell’alibi» del pastore di Burcei, «non sono da soli sufficienti a legittimare la condanna». Ne deriva «che il processo è oggi divenuto meramente indiziario», quindi «allo stato degli atti» si può accogliere «l’istanza di sospensione della pena». Per la decisione finale si vedrà. Intento però Zuncheddu è libero. Ed è difficile non vedere la novità come una sentenza anticipata.
11) Continua