Quando la Coca Cola perse il suo sapore: 40 anni fa il peggior flop del marketing mondiale
Nell’aprile 1985 l’azienda modificò la storica formula della bevanda, ma le reazioni negative dei consumatori la costrinsero a una retromarcia dopo meno di tre mesi. Due anni dopo, la vana rivincita della “New Coke”La Coca Cola nella nuova formula lanciata nell'aprile 1985, con la scritta "New!" sulla lattina
Chissà a chi venne per primo l’idea. Magari all’inizio sarà sembrato un colpo di genio. Ma si rivelò, come fu poi definita, “la peggior cantonata di sempre nel mondo del marketing”. Quarant’anni fa, in questi giorni (era il 23 aprile 1985), la Coca Cola stupì il mondo annunciando che avrebbe cambiato la ricetta della bibita più famosa al mondo, quasi il simbolo per eccellenza dell’America e dell’Occidente. La New Coke, più dolce rispetto alla formula tradizionale, fu però accolta in maniera estremamente negativa dal mercato americano: una reazione così dura che, dopo appena 79 giorni, l’azienda di Atlanta fu costretta a tornare precipitosamente sui suoi passi e a riproporre la versione originaria. Un clamoroso flop commerciale che è ancora oggi un caso di studio tra gli esperti, anche per il suo risultato finale a sorpresa: superata la pioggia di critiche per la svolta inattesa, infatti, col ritorno al passato le vendite del drink conobbero una nuova primavera. Tanto che qualcuno pensò che fosse addirittura tutto calcolato dal principio (ma probabilmente non lo era).
La guerra con la Pepsi
La necessità di variare il prodotto era nata perché, alla vigilia del secolo di commercializzazione, iniziata nel 1886, la Coca Cola stava perdendo forti quote di mercato per l’aggressiva concorrenza della Pepsi: dal 60 per cento del dopoguerra era passata al 24, e soprattutto tra i giovani la tendenza sembrava favorire ancora di più la bevanda rivale. Un po’ per il suo sapore più dolce, molto anche per una campagna promozionale assai efficace: oltre alle pubblicità ordinarie da qualche anno spopolava la Pepsi Challenge, ossia una sfida in cui veniva chiesto a persone qualsiasi di assaggiare sia la Pepsi che la Coca, ma in due bicchieri anonimi, per poi indicare la loro preferita. E in questa sorta di test cieco prevaleva di solito la Pepsi.
Il progetto per modificare il gusto della Coca Cola nacque nei primi anni ’80, benedetto dal Ceo dell’epoca Roberto Goizueta, e fu condotto inizialmente in gran segreto, anche all’interno dell’azienda; passò poi a sua volta attraverso una moltitudine di “test ciechi”, e quello che convinse i dirigenti a fare il grande azzardo fu il fatto che in queste prove la New Coke risultasse più gradita sia della formula precedente, sia della Pepsi. Ma non avevano fatto i conti, come fu chiaro col senno di poi, con i sentimenti popolari. Un conto è esprimersi astrattamente su quale gusto sia migliore in un test alla cieca; un altro è sentirsi defraudati di un ingrediente della propria identità nazionale, perché alla fine – senza esagerare – questo era la Coca Cola.
Malgrado una forte campagna promozionale e una diffusione capillare in tutto il Paese, la New Coke (non era il nome ufficiale, ma fu chiamata così per la scritta “New!” che appariva sulle lattine) suscitò dissenso e rabbia in molti consumatori, e divenne persino oggetto di dibattito e derisione sulla stampa e nei talk show televisivi. Le telefonate al call center aziendale passarono da una media di 400 al giorno a circa 1.500, perlopiù di persone infuriate o che addirittura, come riferì uno psichiatra cui la Coca Cola aveva chiesto di ascoltare le chiamate, erano avvilite come per la morte di un parente. Ci fu persino chi tentò di procurarsi bottiglie e lattine col vecchio gusto dall’estero, dove ancora non era arrivata la rivoluzione. La reazione peggiore arrivò dagli Stati del Sud, storicamente più legati alle tradizioni: un episodio celebre avvenne durante un match di baseball all’Astrodome di Houston, quando tutto il pubblico fischiò sonoramente la pubblicità della New Coke apparsa sul tabellone. Ma in realtà la rivolta riguardò anche il resto degli Usa (a parte le metropoli come New York e Los Angeles dove tutto sommato le vendite del nuovo corso non andavano male): le cronache parlano per esempio di centinaia di bottiglie svuotate per protesta nelle fogne di Seattle.
Correzione di rotta
I vertici di Atlanta si resero presto conto che non potevano reggere all’ondata di critiche, e ai correlati danni commerciali: l’11 luglio 1985 arrivò l’annuncio del ritorno alla formula storica della bevanda. La versione nuova sarebbe rimasta in commercio ancora per qualche anno, parallelamente e insieme ad altre varianti di nicchia (come la Cherry Cola), fino all’interruzione definitiva della produzione nel 2002; nel 2019 è ritornata sul mercato in un’edizione limitata, collegata a una stagione del serial Stranger Things in cui la bevanda appariva come simbolo degli anni ’80.
La retromarcia ebbe però l’effetto di rinfocolare ancor più di prima l’affetto degli americani per la Coca Cola, e rilanciò le vendite del marchio. Paradossalmente, aver preso una strada sbagliata e riuscire poi a tornare indietro rapidamente aiutò l’azienda a vincere la guerra commerciale con la Pepsi, più di quanto avrebbe potuto fare se fosse sempre rimasta ferma: cosa che alcuni economisti hanno sottolineato come esempio della capacità di un grande marchio di far tesoro dei propri errori. Ci furono anche, come detto, alcuni teorici della cospirazione che avanzarono il sospetto che tutta l’operazione fosse già preordinata a questo esito finale. Ma il Ceo Goizueta negò seccamente: “Non siamo così astuti. E neppure così stupidi”.
Nel 1987, però, la New Coke si prese quanto meno una rivista platonica. Il Wall Street Journal intervistò cento consumatori a caso: quasi tutti dividevano le loro preferenze, in fatto di bibite, tra la Pepsi e la Coca Cola classica, con una leggera preferenza per la prima. Appena due preferivano la New Coke. Ma quando alle stesse persone furono fatti bere i tre drink alla cieca, ancora una volta vinse proprio quello già respinto dall’opinione pubblica americana, e rinnegato dalla sua stessa azienda.