L’inverno demografico è sempre più cupo, il futuro sulla popolazione è nero, e in Sardegna gli indicatori sono tra i peggiori d’Italia.

Da 1.560.794 residenti nel 2025, le previsioni indicano che, in poco meno di cinque anni, la popolazione dell’Isola si ridurrà di 54.762 individui, e continuerà a diminuire: a partire dal 2031 la regione conterà meno di 1,5 milioni di abitanti, nel 2050 ne avrà meno di 1.250.000, dal 2067 la popolazione sarà scesa sotto il milione di abitanti e nel 2080 ne avrà poco più di 850.000.

Sono i dati elaborati dal Crei Acli Sardegna a partire da quelli Istat, in un report curato da Vania Statzu e Silvia Talana.

Si registra una costante diminuzione della popolazione a livello nazionale con una netta differenza tra le differenze aree del paese: il Trentino Alto Adige è l’unica regione in crescita, sebbene contenuta, che al 2080 sarà poco sotto il 4%. La Sardegna con un -45,74% e la Basilicata con -46% sono quelle che risentiranno della perdita maggiore di popolazione.
Rispetto alla media nazionale, la Sardegna ha un calo della popolazione molto più marcato: tra il 2024 e il 2030 è oltre cinque volte superiore alla stima a livello nazionale (-4,10% contro -0,81%). Nel lungo periodo questa differenza tende a ridursi: lo scarto tra le stime si riduce a circa il doppio se si controlla il dato di confronto tra 2024 e 2080 (-45,74% contro -22,30%).

Il calo della popolazione si accompagna anche a modifiche strutturali della sua composizione. Nel 2030 la percentuale di under 14 sarà l’8,3% del totale, la percentuale più bassa tra le regioni italiane, e rimarrà al di sotto del 10% anche in futuro, consolidando la Sardegna nel suo triste primato.

La popolazione in età lavorativa, in linea col dato nazionale nel 2024, vedrà una più marcata riduzione a livello regionale: nel 2050, infatti, si stima che sarà al di sotto del 50% del totale, e attorno a questa percentuale rimarrà nel 2080.
Sarà la popolazione in età pensionistica, invece, a crescere, raggiungendo nel 2050 quasi il 42% del totale della regione, percentuale nettamente più elevata rispetto alla media nazionale e ai dati delle singole regioni.

Il numero di famiglie tenderà a diminuire gradualmente in Sardegna, con una differenza negativa di 89.067 famiglie tra il 2024 e il 2050, in contrasto con la media nazionale.

Anche il numero medio di componenti familiari tenderà a diminuire, ma mentre a livello nazionale la media si attesterà sul 2, in Sardegna al 2040 e 2050 si registrano valori inferiori al 2. La Sardegna è la penultima regione per numero di componenti familiari al 2040 e al 2050, rispettivamente 1,93 e 1,89 componenti, seguita solamente dalla Liguria (1,91 nel 2040 e 1,88 nel 2050 come valori medi).

Sebbene le stime vedano una leggera crescita, la Sardegna rimarrà anche in futuro la regione italiana col tasso di fecondità inferiore. Attualmente, il numero medio di figli per donna in Sardegna si attesta sotto l’unità, ben lontano dal valore di rimpiazzo, pari a 2. Le previsioni mostrano un incremento minimo nei decenni successivi, arrivando al 2080 ad un valore di 1,28 figli per donna, distante dalla media nazionale, sebbene anche questa registri una leggera ripresa, pur mantenendosi sotto il valore di rimpiazzo.

Per quanto riguarda l’età della popolazione, nel 2024 la Sardegna registra, tra le regioni italiane, il secondo valore più alto, pari a 48,8, secondo solo alla Liguria (49,5), contro una media nazionale di 46,6 anni. Nei decenni successivi, l’età media continuerà a crescere sia a livello nazionale che regionale e in Sardegna raggiungerà i 55 anni nel 2050, contro una stima di 51 a livello nazionale.

Per quanto riguarda l’indice di dipendenza strutturale, cioè il rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione in età attiva (15-64 anni), se oggi 58 persone in età non attiva sono a carico di 100 persone in età attiva, nel 2050 il rapporto sarà di uno a uno.

«Dati allarmanti», dice il presidente regionale Acli Mauro Carta, «bisogna preoccuparsi perché prosegue il trend negativo della “scomparsa” dei giovani: non nascono bambini, i ragazzi vanno a studiare fuori e poi, una volta laureati e specializzati, non tornano, di conseguenza continuano a mancare sempre più le coppie in età fertile. Inoltre, dato che mancano i programmi per incentivare i giovani a venire a formarsi qui, non riusciamo neppure in piccola parte a colmare i deficit generazionali con gli “immigrati”, che potrebbero essere i nipoti nati all’estero dei nostri vecchi, i parenti degli emigrati, che avrebbero perfino le case familiari disabitate, se solo riuscissimo a credere veramente in questa scommessa possibile».

«Quando l’indice di dipendenza strutturale supera 50, significa che c’è uno squilibrio del sistema, e noi siamo già in questa situazione difficile», spiega Statzu. «Se i cittadini che lavorano e pagano le tasse sono meno di quelli che non lo fanno, il welfare, la sanità, i servizi socio-assistenziali – di cui ovviamente si sente maggiormente la necessità con l’invecchiamento della società – non regge».

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