Una lunghissima storia d’amore quella tra Ornella Vanoni e il jazz. E non c’è da stupirsi che lei abbia affidato a Paolo Fresu, un jazzista, ma prima ancora un caro amico, le note che hanno accompagnato l’ultimo saluto. “L’appuntamento”, su esplicita richiesta dell’artista, “Senza Fine” come l’eredità artistica che lascia. 

Il sodalizio musicale, dal quale è nata una bella e profonda amicizia, nasce trent’anni fa con la collaborazione all’album “Sheherezade” ma soprattutto con “Argilla” che Fresu ha anche prodotto. Album che hanno segnato l’ennesima svolta nella produzione della cantante italiana che più di tutte ha saputo reinventarsi e mettersi in gioco. Ma è solo l’ultimo capitolo anche perché Vanoni apparteneva a una generazione per la quale il jazz era stata fonte di ispirazione. Gli stessi Gino Paoli e Luigi Tenco suonavano e si nutrivano del jazz di quegli anni.

Tra gli amici famosi di Ornella Vanoni c'era Gerry Mulligan, il più grande solista di sax baritono della storia del jazz, fondatore del leggendario quartetto senza pianoforte con Chet Baker che aveva una grande familiarità con l'Italia e che ha suonato con la Vanoni sull'album "Uomini" ma l'ha anche accompagnata più volte dal vivo. La più importante testimonianza di questo legame con il jazz è "Ornella &…", prodotto da Sergio Bardotti come il precedente “La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria”: l'album è stato registrato a New York nel 1986 e raccoglie una serie di canzoni italiane di epoche diverse suonate con jazzisti come Herbie Hancock, George Benson, Gil Evans, Lee Konitz, Ron Carter. Una sorta di versione italiana del Great American Songbook, gli standard del Belpaese. Negli anni successivi sono state frequenti le incursioni nel jazz, in forma di collaborazioni o riletture nei concerti.

Ornella Vanoni e Paolo Fresu nella foto che il musicista sardo ha pubblicato sulla sua pagina Facebook

L’incontro con Paolo Fresu a metà degli anni Novanta segue questa strada. «Sono stata tra i primissimi a conoscerlo ed apprezzarlo. – ha raccontato in un’intervista al quotidiano Il Giorno - Andai ad ascoltarlo al Tangram incuriosita da un trafiletto di giornale che parlava di questa ‘nuova tromba italiana’. Lo vidi arrivare sul palco con i pantaloni alla caviglia, un paio di scarpe strane, i capelli tenuti su da un elastico con una ciocca che gli cadeva di lato, e sedersi sulla seggiola arrotolato come un pitone. Quando iniziò a suonare, però, mi resi conto che dopo Chet Baker avevo trovato un’altra tromba capace di commuovermi».

Nel 1995 esce “Sheherazade” prodotto da Mario Lavezzi con diverse collaborazioni in ambito jazz come il chitarrista franco-vietnamita Nguyén Lé, Gerry Mulligan e Furio Di Castri e Paolo Fresu che l’accompagna in “Rapiscimi”. Il 31 ottobre 2025, in occasione del 30° anniversario dalla sua prima pubblicazione, è stata stampata una nuova edizione in versione rimasterizzata.

Ma è con “Argilla” che la collaborazione con il musicista sardo diventa più stretta. Questa volta Fresu firma l’album in veste di produttore e lascia un’impronta ben riconoscibile. Nel disco la sua tromba e il flicorno, la chitarra elettrica di Nguyên Lê, il pianoforte di Roberto Cipelli e Natalio Mangalavite, il sax soprano di Tino Tracanna, il contrabbasso di Attilio Zanchi e la batteria di Ettore Fioravanti tracciano un disegno sonoro raffinato. Le quattordici composizioni sono scelte in un repertorio internazionale: c’è “Buontempo” di Fossati, “Bugiardo e incosciente”, cavallo di battaglia di Mina, “Ev'ry Time We Say Goodbye” di Cole Porter e quella “Sant’Allegria” riproposta lo scorso anno in un emozionante duetto con Mahmoood.

“Argilla” ha un riferimento, nei testi, alla poetica di Alda Merini. “Sembra fatta di argilla questa malinconia che si asciuga in fondo al cuore e che non vuole andare via”. E della poetessa sono i versi citati nella copertina del disco. “A volte succedono cose strane, un incontro, un sospiro, un alito di vento, che suggerisce nuove avventure della mente e del cuore. Il resto arriva da solo, nell’intimità del mistero del mondo”. Come quell’ultima, interminabile, nota col flicorno che Paolo Fresu esegue in chiesa con la respirazione circolare, la stessa tecnica antica dei suonatori di launeddas. Senza fine.

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