Maria Cristina di Savoia è stata “una donna capace di comprendere la propria vita alla luce della volontà di Dio e di percorrere con gioia il sentiero per lei tracciato dalla Provvidenza: nata figlia di re, destinata a sposare un re, si dispose ad abbracciare un progetto di vita che probabilmente non era il suo, incline com’era alla vita ritirata e finanche alla contemplazione”. Così il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi, descrive la figura della terz’ultima regina consorte del Regno delle Due Sicilie nella prefazione a “Maria Cristina di Savoia”, firmato da Luciano Regolo per le edizioni Ares.

Il libro, opera di uno dei più autorevoli studiosi di Casa Savoia, ricostruisce la breve ma intensa esistenza di Maria Cristina, ultimogenita di Vittorio Emanuele I, unica esponente di casa Savoia nata a Cagliari, morta a soli 23 anni e beatificata nel 2014 a Napoli per decisione di Papa Francesco. “Donna di profonda spiritualità e di grande umiltà – disse Bergoglio – seppe farsi carico delle sofferenze del suo popolo, diventando vera madre dei poveri. Il suo straordinario esempio di carità testimonia che la vita buona del Vangelo è possibile in ogni ambiente e condizione sociale”.

L’Isola e i Savoia

Per comprendere fino in fondo la figura di Maria Cristina, Regolo invita però a guardare anche al contesto storico e familiare in cui venne educata, un contesto che intreccia in modo decisivo la storia della dinastia sabauda con quella della Sardegna. Alla fine del Settecento, l’invasione napoleonica del Piemonte costrinse infatti i Savoia ad abbandonare i loro domini continentali. Il Regno di Sardegna, privato della sua parte più ricca e strategica, si ritrovò improvvisamente ridotto all’Isola, che divenne rifugio, baluardo (i francesi di Napoleone, nonostante alcuni tentativi, non riuscirono a conquistare l’Isola) e ultimo spazio di sovranità.

Dal 1799 al 1814 la Sardegna fu, di fatto, il centro politico dello Stato sabaudo. Cagliari divenne capitale di una monarchia in esilio, sede di una corte che portava con sé il peso della sconfitta, della precarietà e dell’incertezza. Per l’Isola fu una stagione contraddittoria: da un lato l’orgoglio di essere rimasta l’unico territorio libero dal dominio francese, dall’altro il peso economico e sociale di una corte che gravava su una società già segnata da povertà diffusa, arretratezza infrastrutturale e profonde disuguaglianze.

Era la Sardegna delle campagne stremate, dei villaggi isolati, del sistema feudale che ancora opprimeva vaste aree dell’Isola, del malcontento popolare che pochi anni prima era esploso nei moti antifeudali e nella stagione rivoluzionaria sarda. I Savoia, costretti dalla storia, furono obbligati a confrontarsi direttamente con questa realtà: una periferia che improvvisamente diventava centro, un’Isola marginalizzata che si trasformava in ultimo presidio della legittimità dinastica.

La regina sarda

È in questo clima che si forma l’educazione dei figli di Vittorio Emanuele I. Maria Cristina non visse a lungo in Sardegna, ma crebbe respirando il racconto di quell’esilio, di una monarchia spogliata del potere continentale e posta a contatto con la povertà di un popolo lontano dai fasti delle corti europee. Regolo, nel suo nuovo libro, individua proprio in questa esperienza una delle radici della sua spiritualità: una fede vissuta non come ornamento del potere, ma come risposta alla fragilità umana e sociale.

Divenuta regina delle Due Sicilie con il matrimonio con Ferdinando II di Borbone, Maria Cristina portò con sé questa impronta. A Napoli era chiamata “la reginella santa”, non per devozione formale, ma per uno stile di vita che rompeva gli schemi della corte. Non si limitò alla beneficenza tradizionale, ma promosse opere concrete di giustizia sociale: aprì mobilifici e laboratori tessili, offrendo lavoro e dignità a molti poveri. La sua religiosità influenzò profondamente anche il marito e l’ambiente di governo, al punto da convincere il sovrano a recitare il rosario prima di ogni Consiglio di Stato. “Lei mi ha insegnato a vivere e a morire”, dichiarò Ferdinando II durante il processo di beatificazione.

Particolari inediti

Il volume di Regolo svela anche particolari inediti sulla morte della giovane regina, avvenuta in seguito a una caduta mentre giocava con il marito, otto giorni prima di dare alla luce il futuro re Francesco II. Il miracolo riconosciuto per la beatificazione riguarda una bambina nata salva dopo un parto estremamente difficile, che la madre attribuì all’intercessione di Maria Cristina di Savoia. Altri episodi sono stati segnalati negli anni successivi, ma – sottolinea Regolo – “il miracolo più grande resta il modo in cui ha condotto la sua breve esistenza, interamente orientata alla ricerca di Dio”.

Per la Sardegna, la figura di Maria Cristina di Savoia assume così un valore che va oltre la devozione. È il riflesso di una stagione storica in cui l’Isola non fu più semplice appendice del Regno, ma suo cuore politico e simbolico. Un tempo in cui la monarchia sabauda, privata delle certezze continentali, conobbe da vicino la marginalità, la povertà e il disagio sociale che segnavano la vita dei sardi. In quella esperienza si può leggere una delle radici di quella “attenzione agli ultimi” che Maria Cristina seppe incarnare fino alle estreme conseguenze.

Una regina che non governò la Sardegna, ma che alla Sardegna resta legata come figlia di una dinastia costretta, proprio nell’Isola, a fare i conti con i limiti del potere e con il volto più fragile del proprio popolo. Una memoria che appartiene non solo alla storia dei Savoia, ma anche alla storia profonda dell’identità sarda.

© Riproduzione riservata