Lo stretto di Hormuz, il cuore energetico del mondo
Se l’Iran bloccasse l’accesso al Golfo Persico sarebbe il caos planetario per il mercato di petrolio e gasPetroliere in transito nello Stretto di Hormuz, che consente l'accesso al Golfo Persico
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L’attacco americano all’Iran ha acceso le luci sullo stretto Hormuz e sull’importanza di un canale marino da cui passa circa il 25 per cento dei prodotti petroliferi mondiali e quasi il 35 del gnl, il gas liquefatto. Di fatto il centro del motore energetico di tutto il pianeta, un punto di riferimento così vitale che una chiusura anche parziale o temporanea stravolgerebbe gli equilibri economici internazionali. Teheran ha i confini nella parte nord dello stretto, che consente l’accesso al Golfo Persico: sull’altro lato del braccio di mare c’è l’Oman, ma l’Iran può facilmente controllare il canale che nel punto più stretto non supera i 33 chilometri: è la porta verso i grandi Paesi produttori di petrolio come Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Iraq, Emirati arabi.
La porta dell’energia
Un’azione militare del governo degli ayatollah è remota ma non impossibile, perché basterebbero una catena di mine o azioni mirate sulle navi mercantili per mandare in tilt il traffico nel golfo, con conseguenze rapide e pesantissime sul sistema di approvvigionamento del petrolio e del gas in tutto il mondo. In quel braccio di mare transitano non meno di cento petroliere o gasiere ogni giorno: un semplice rallentamento del traffico controllato da Iran e Oman (come da accordi siglati nel 1975) avrebbe effetti catastrofici sui mercati di tutto il mondo. Secondo gli analisti sarebbe proprio l’Iran a correre i maggiori rischi, dal momento che la repubblica islamica rappresenta il punto di approvvigionamento principale per le navi che transitano nello stretto. Dal 1979, anno della rivoluzione, gli ayatollah hanno minacciato almeno una ventina di volta interventi di chiusura del canale, a partire dai tempi sanguinosi della guerra contro l’Iraq degli anni Ottanta. Eppure anche nei maggiori momenti di attrito la circolazione a Hormuz non è mai stata fermata o rallentata.
Le tensioni sul canale
Dopo un periodo relativamente tranquillo, le tensioni nello stretto si sono intensificate a partire dal tempo della crisi economica del 2008, raggiungendo i libelli più critici tra il 2018 e il 2022. In questo periodo l'Iran ha mostrato un’aggressività crescente, colpendo in modo diretto - o tramite i propri alleati in Iraq e Yemen - interessi petroliferi occidentali negli Emirati arabi e in Arabia saudita. Di fronte a queste continue minacce, Riad e Abu Dhabi hanno adottato contromisure strategiche, deviando parte del traffico di greggio via terra. Questa soluzione, anche se più costosa, offre maggiore garanzie e una sicurezza adeguata. Nel caso dell’Arabia gli oleodotti attraversano il regno dal Golfo Persico (a est) fino al Mar Rosso (a ovest). Gli Emirati, invece aggirarano il canale controllato da iraniani e omaniti con condotte che sfociano direttamente sulla costa dell'Oceano Indiano. Il Qatar è in una posizione più debole: si ritrova privo di infrastrutture alternative e non può che muoversi negli spazi possibili. In questi giorni carichi di tensione ha messo in allerta il proprio sistema mercantile, portando le navi a ridurre i tempi di transito e di carico del gas.
Le strategie possibili
La potenziale chiusura dello stretto avrebbe però l’obiettivo di danneggiare gli Stati Uniti, bersaglio principale delle ritorsioni iraniane dopo gli attacchi sferrati da Washington: bisognerà capire se però l’Iran avrà davvero la forza e l’interesse per agire in questa direzione. Peraltro ripercussioni significative si avrebbero anche sulla Cina: Pechino è il principale beneficiario delle esportazioni energetiche che transitano per Hormuz, in particolare quelle provenienti dalla repubblica degli ayatollah. Ecco perché Teheran farebbe una sorta di harakiri se arrivasse alla soluzione estrema di chiudere lo stretto.