I lavori alle imprese, lo Stato li affida con i suoi appalti: infatti nessuno si lamenta. Il problema è che li paga sempre, ma con una lentezza esasperante, mentre l’impresa che li ha svolti spesso ha contratto debiti per eseguire la commessa e si vede ridurre il già basso margine di guadagno, rosicchiato dagli interessi che deve pagare sul finanziamento ricevuto dalla banca.

Dovunque ci si giri, insomma, ci sono “promemoria” assai sgraditi di come funziona lo Stato Italia, cioè malissimo. Quella che ormai da lungo tempo è un’impressione degli imprenditori di tutto il Paese, ora riceve la certificazione, il bollino di garanzia del fatto che il sistema non funziona: arriva dalla Cgia di Mestre, cioè l’Associazione artigiani e piccole imprese, il cui Ufficio studi compie ricerche tenute in gran conto nel mondo dell’economia perché basate su dati ufficiali.

E allora, nell’Unione europea quale dei 27 Paesi ha il pacchetto di debiti commerciali, in rapporto al Pil, più pesante? La domanda è solo un esercizio di stile, considerato che la risposta è «noi», l’Italia.

Spulciando i dati Eurostat pubblicati nell’ottobre del 2024 (questo tipo di tabelle è sempre aggiornato a qualche mese prima), la Cgia ha scoperto che nel 2023 la nostra pubblica amministrazione – indicata con l’acronimo Pa – ha accumulato mancati pagamenti ai propri fornitori pari a 2,8 punti percentuali di Pil. Un po’ meglio ha fatto il Belgio con il 2,7%, terzo è il Lussemburgo con il 2,4%. Se però andiamo a considerare i principali concorrenti commerciali dell’Italia il cui ritardo, lo ripetiamo, è al 2,8% rispetto al Pil, ci possono e anzi ci dovrebbero spaventare lo 0,9 per cento della Spagna, l’1,6 della Francia e l’1,9 per cento della Germania.

Se ci si prende la briga di trasformare queste percentuali in soldi veri, i mancati pagamenti da parte dello Stato a imprese che hanno svolto lavori per suo conto hanno un controvalore di 58,6 miliardi di euro. È una cifra spaventosa, e di certo non conforta che questo dato sia in costante crescita dal 2020: come si dice, è tutta salute. Che se ne va, considerato che le imprese anticipano somme di denaro e poi aspettano troppo a lungo di vedersi saldare la fattura dallo Stato.

Non è una novità, questa dei mancati pagamenti, anzi è un malcostume che lo Stato ha istituzionalizzato dopo averlo praticato per decenni. Il problema è che la cifra del debito della Pa è cresciuta, anche se nei tempi più recenti le cose stanno un po’ migliorando. Anche sulla base delle proteste delle imprese, le amministrazioni dello Stato sono diventate un po’ più tempestive nel saldare le fatture entro i termini previsti dalla legge, stabiliti da una Direttiva europea del 2011: i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra enti pubblici italiani e imprese private non devono superare i 30 giorni, che salgono a sessanta per alcune tipologie di forniture, particolarmente per quelle sanitarie.

Sul pregresso, però, lo Stato arranca un po’ troppo per smaltire lo stock accumulato negli anni precedenti e le imprese non hanno altra scelta che aspettare. Ne escono con le ossa rotte quelle piccole che, a differenza delle imprese grandi, hanno un potere negoziale molto contenuto al punto da diventare le vittime predestinate dell’abuso di posizione dominante di cui dispongono i dirigenti e i funzionari pubblici con cui si rapportano.

La Ragioneria generale dello Stato ha fatto un po’ di conti. Nel 2023 tutte le nostre amministrazioni pubbliche hanno ricevuto 30,5 milioni di fatture, per un importo complessivo di 185,1 miliardi, ma ne ha effettivamente onorati 174,5. Significa che i mancati pagamenti sono stati di 10,6 miliardi di euro. L’anno precedente erano stati 9, nel 2021 dell’8,2 per cento.

Anche nei primi sei mesi del 2024, a fronte di 15,3 milioni di fatture per un valore complessivo di 95 miliardi di euro, entro settembre lo Stato ne aveva pagate per un importo di 89,2 miliardi, non onorandone dunque per 5,8 miliardi di euro. E con la “messa a terra” del Piano nazionale di ripresa e resilienza Pnrr possiamo solo attenderci ulteriori peggioramenti, e nel frattempo i funzionari e i dirigenti pubblici chiedono alle imprese esecutrici delle opere di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o dell’invio delle fatture.

Chi è, nella Pa, il peggior pagatore? Manco a dirlo, lo Stato centrale: nel 2023 ha saldato solo il 92,8 per cento delle fatture ricevute, non ha versato 1,4 miliardi di euro ed è stato un pagatore puntuale solo nel 69,3 per cento del totale. Quasi la metà dei ministeri è in ritardo: 7 su 15. Il peggiore, e anche qui nessuna sorpresa, è quello del Lavoro e delle Politiche sociali, con 13,13 giorni di ritardo sulla scadenza. Il miglior pagatore è invece il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, che si permette un ritardo medio di 20,21 giorni sulla scadenza.

Poi c’è la beffa: la Cassazione ha ritenuto «prevedibile e ricorrente» il ritardo dei pagamenti da parte della Pa, quindi l’imprenditore in crisi di liquidità non può non versare le imposte all’Erario né procedere ad alcuna “compensazione fai da te”: lui deve pagare puntualmente, lo Stato quando ne ha voglia. E spesso non ne ha.

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