Lunedì 21 luglio in prima serata su Rai1 la trasmissione “Noos” condotta da Alberto Angela ha mostrato un dato che non può non impressionare: un parallelismo tra il peso complessivo della biomassa naturale (piante, animali, batteri, virus, funghi e così via) e quello delle creazioni umane (calcestruzzo, aggregati, mattoni, asfalto, plastiche, metalli) ha evidenziato come le prime abbiano superato di poco i 1.100 miliardi di tonnellate e le altre abbiano invece toccato quota 1.300 miliardi.

Nel caso iniziale la creazione è avvenuta nell’arco di circa 5 miliardi di anni, nel secondo in neanche 200 anni (i due terzi dei manufatti umani addirittura sono stati realizzati negli ultimi 35). Frazione infinitesimale, questi due secoli, di un periodo difficilmente inquadrabile per le nostre limitate facoltà intellettive. Poi un dato ulteriore: i materiali antropogenici raddoppiano all’incirca ogni 20 anni mentre quelli naturali sono in lenta diminuzione.

Cantieri edilizi

La rivoluzione

Prodotto della rivoluzione industriale, che ha portato certamente uno sviluppo imponente e fondamentale a vantaggio degli uomini, le cui condizioni di vita sono esponenzialmente migliorate sotto il punto di vista sanitario, lavorativo e sociale, e che tuttavia al contempo ha cominciato a provocare scompensi al “sistema Terra” sempre più evidenti e pericolosi.

L’uso di combustibili fossili, essenziali per produrre l’energia indispensabile alle nostre attività, ha aumentato a dismisura il livello di anidride carbonica nell’atmosfera e, parallelamente, provocato un incremento medio delle temperature planetarie foriere a loro volta (su questo la grandissima maggioranza degli scienziati che si occupano dell’argomento è concorde) di un cambiamento climatico rapidissimo rispetto ai tempi della natura.

Una tendenza resa sempre evidente, per restare agli accadimenti maggiormente frequenti e visibili a tutti nonostante scettici e complottisti, dal caldo feroce che attanaglia le nostre città in estate e dalle sempre più numerose alluvioni (con tanto di tempeste tropicali) che alle nostre latitudini (zona temperata) provoca devastazioni e morti. Si assiste da anni all’occupazione ed erosione del suolo, alla deforestazione, alla perdita di biodiversità e all’accumulo di gas serra, alla crescita dei livelli di inquinamento, all’innalzamento dei mari, a siccità, carestie e grandinate anche in piena stagione calda.

Folla e cemento a Tokyo

Il pianeta soffre

Il pianeta soffre e il nostro comportamento contribuisce ad aggravare il problema. La massa degli esseri umani costituisce lo 0,01 per cento del totale ma la sua impronta è ovunque. Si potrebbe portare a esempio, per quel che vale, lo sfruttamento delle risorse terrestri. C’è un termine in lingua inglese, Overshooting day, che sulla base di calcoli specifici indica il giorno esatto, anno dopo anno, nel quale si esauriscono quei beni essenziali per la vita prodotti naturalmente da questa piccola palla blu che funge da nostra casa nell’Universo.

La data, per essere chiari, nella quale la nostra specie consuma interamente quanto il pianeta riesce a creare in dodici mesi. E i dati col passare del tempo sono tanto impietosi quanto indicativi di quel che accade e della nostra voracità. L’Uomo consuma risorse naturali sempre maggiori e arriverà il giorno in cui non ne avrà più a disposizione.

Palazzi a New York

Rigenerazione

La Terra non riesce a generare risorse al ritmo con cui le sfruttiamo. I consumi crescono con l’aumentare della popolazione mondiale (è stata superata quota 8 miliardi) e delle necessità energivore. L’ultimo pareggio (l’equilibrio tra entrate e uscite) risale al 1970 (stesso risultato del 1969, primo anno di verifica della situazione), mentre oggi sarebbe necessario avere a disposizione altri tre quarti di pianeta per far fronte alle esigenze di chi vive sui cinque continenti.

Con una crescita costante infatti in questo 2025 il traguardo è stato tagliato il 24 luglio, otto giorni prima rispetto al 2024 (primo agosto) e nove rispetto al 2023. Un termine di riferimento: nel 1975 le risorse finirono dopo 330 giorni, nel 1980 dopo 320, nel 1990 dopo 290, nel 2000 dopo 260, nel 2010 dopo 221. Piccolo miglioramento nel 2020, quando l’Overshooting day arrivò dopo 228 giorni (il 16 agosto), ma era l’anno della pandemia da Covid e dunque fu un’eccezione. Poi la discesa è ricominciata, e nel 2025 siamo arrivati a 204 giorni.

La protesta degli attivisti a Berlino nel 2023

I singoli Stati

Valore medio complessivo, perché poi ci sono singoli Stati che hanno fatto ben peggio. L’Italia, per dire, ha tagliato il traguardo il 6 maggio: prima di Svizzera (7 maggio), Gran Bretagna (20 maggio), Cina e Spagna (23 maggio), Grecia (25 maggio), Turchia (18 giugno), Argentina (3 luglio) e Vietnam (20 luglio). Si prevede che il Brasile terminerà le proprie risorse il primo agosto, la Colombia il 6 settembre, l’Albania il 13 settembre, l’Indonesia il 18 novembre.

La foresta amazzonica

Batte tutti l’Uruguay, che arriverà al traguardo il 17 dicembre. Di contro, il peggiore risulta il Qatar che ha consumato ogni risorsa già il 6 febbraio ed è seguito da Lussemburgo (17 febbraio), Singapore (26 febbraio), Mongolia (2 marzo), Kuwait (7 marzo), Bahrain (9 marzo), Usa (13 marzo) e così via, arrivando a Germania e Olanda (3 e 5 maggio) passando per Emirati Arabi Uniti, Danimarca, Australia, Canada, Belgio, Austria, Russia, Arabia Saudita. Corea del Sud, Repubblica Ceca, Svezia, Francia, Israele e Nuova Zelanda.

In sostanza chi vive in territori più ricchi ha uno stile di vita troppo elevato e superiore al consentito. Gli standard degli Usa renderebbero necessarie 5,1 Terre, quelli dell’Italia 2,7.

Decine di anni

Nel 2022 sarebbero serviti almeno 19 anni senza consumi perché il pianeta si rigenerasse, nel 2023 almeno 20. Oggi siamo saliti a 22 anni. Orizzonte del tutto ipotetico in realtà, perché la capacità rigenerativa della Terra è azzoppata: sono stati persi migliaia di chilometri quadrati di foreste, si sono estinte diverse specie animali ed si sono sciolti innumerevoli ghiacciai.

Gli effetti della deforestazione

Così a questi ritmi nel 2050 serviranno due pianeti per soddisfare la voracità umana. Per ristabilire l’equilibrio sarebbe necessario cambiare del tutto paradigma e sterzare con decisione verso la transizione energetica, un’alimentazione più sostenibile e politiche che puntino davvero a livello globale verso la tutela ambientale.

Spostando in avanti l’Overshooting day di cinque giorni all’anno, in quel fatidico 2050 tornerebbe l’equilibrio. Impresa francamente difficile visti i comportamenti attuali di gran parte degli Stati mondiali.

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