L’arte di Giovanna Dejua dialoga con “L’Ultima cena” del Ghirlandaio
La mostra itinerante Nativity con le opere della pittrice sarda approda a Firenze, nel museo De’ MediciPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Tra astrattismo e spiritualità i colori si liberano dal disegno per esprimere le emozioni dell’artista. La pittura di Giovanna Dejua, sarda di Bitti trapiantata a Roma, è scandita dal blu, dal rosso e dal giallo oro, segue sorprendenti percorsi di successo e ora a Firenze dialoga con “L’ultima cena” del Ghirlandaio, artista del Rinascimento ai tempi di Lorenzo il Magnifico. Questo magico viaggio è allestito nel museo De’ Medici tra la quattrocentesca Rotonda Brunelleschi e l’attiguo monastero degli Angeli: fino al 6 gennaio ospitano la mostra itinerante Nativity, inaugurata l’11 settembre. Curata da Davide Vincent Mambriani, realizza idealmente una continuità filologica tra l’arte del Quattrocento, del Cinquecento, del Seicento e del Settecento e le opere di Giovanna Dejua realizzate nel Novecento e inserite del suo “Nuovo progetto astratto” con tappe prestigiose nel corso dell’anno a partire dalla prima a Roma, davanti al Vaticano, in occasione dell’apertura della Porta santa.
«La mia arte si sviluppa partendo dalla percezione emozionale dello spazio. Il mio astrattismo è un approccio operativo che genera un atto creativo-espressivo», spiega l’artista, approdata a Roma già negli anni Sessanta. Gli studi, l’insegnamento, l’intensa attività artistica, poi lo stop dovuto a un grave problema alla vista l’ha condotta ad affidare la produzione alla Fondazione che porta il suo nome, diretta da Angelo Paletta, ed impegnata nella valorizzazione delle opere.
La sua ricerca inizia negli anni Ottanta con il “Nuovo progetto astratto”. «Parte dalla considerazione di ciò che è stato il Novecento, secolo di avanguardie e sperimentazioni artistiche - spiega Dejua -. Tutti gli artisti hanno osservato, analizzato, semplificato, decostruito, decontestualizzato la realtà e la forma riducendola ai minimi termini fino ad arrivare al punto nello spazio e poi a bucare e tagliare il supporto e la materia stessa. Questo loro punto di arrivo è diventato quello mio di partenza: io dipingo per ricostruire». Lei privilegia l’arte sacra, declinata in forme geometriche ed essenziali e intinta nei colori del rosso, blu e oro, simboli di regalità e trascendenza. Interpreta l’astrazione con una sua forza evocativa e riconoscibile. «L’oro - sottolinea l’artista - è un’esaltazione alla vita e al creato. Nell’uso ricorrente dell’oro, metallo duttile e prezioso, c’è una volontà di partecipazione all’eternità».
Le due opere esposte a Firenze, denominate “Natività”, sono state realizzate nel 1987 e nel 1991. La dimensione della tela è di cm. 80x80 e la tecnica è acrilico e foglia d’oro 24 kt applicata a mano.
Spiega Samuele Lastrucci, direttore del museo de’ Medici: «L’accostamento delle due “Natività” di Giovanna Dejua con la “Ultima cena” di Ridolfo del Ghirlandaio, opera collocata nell’attiguo monastero degli Angeli, rappresenta una scelta espositiva particolarmente congeniale. Qui non si tratta soltanto di un dialogo tra linguaggi figurativi di epoche diverse, ma anche tra i diversi momenti della vita di Cristo: l’inizio e la fine, l’incarnazione e il sacrificio. È come se, già nella scena della nascita, si intravedesse in filigrana il presagio della Passione, in un intreccio di alfa e omega che percorre tutta la storia della salvezza. Le opere di Dejua, appartenenti al suo “Nuovo progetto astratto”, reinterpretano un soggetto topico rinascimentale che in questa sede trova un interlocutore privilegiato tanto nell’eredità figurativa del XV secolo quanto nella riflessione spirituale e pittorica del XVI».
Claudio Strinati, critico e storico dell’arte, segretario generale dell’Accademia di San Luca, promuove l’evento e l’arte della pittrice e sottolinea: «Il tema del sacro è trattato da Giovanna Dejua con una sensibilità e una convinzione che raramente è dato riscontrare nella produzione artistica contemporanea. Qui, nello spazio estetico, sacro e profano sono sempre e soltanto due facce di una stessa medaglia che è l’arte, ma un’arte totalmente pervasa di spirito religioso, fondamento di tutto quello che l’autrice ha inteso esprimere e tuttora esprime con grande e sincero afflato. Bastano le due opere esposte a farcelo intendere, cogliamo subito l’essenziale, cioè la predilezione assoluta in sé per l’astrazione geometrica, non priva di residui di figuratività sapientemente diffusi nello spazio estetico, talvolta in modo esplicito, talaltra in modo appena allusivo. Le due Natività, ad acrilico e foglia d’oro, tecnica peculiare e smagliante dell’artista, sembrerebbero, ad un primo sguardo, nate dai presupposti su cui si formò l’astrattismo storico teorizzato e praticato da un genio come Kandinsky che non parlava, peraltro, mai di forma e contenuto ma di spirituale dell’arte. Certo, la Dejua è profondamente debitrice verso il Futurismo e l’Astrattismo, per cui lo spazio stesso del quadro è un tracciato che indica le linee del cammino tra la terra e il cielo, tra la dimensione fisica e quella metafisica».
Poste Italiane ha realizzato un folder e due cartoline filateliche da collezione con le immagini delle opere di Giovanna Dejua mentre l’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato ha stampato il catalogo con i saggi di cinque storici dell’arte: Claudio Strinati, Lorenzo Canova, Paola Di Giammaria, Francesco Petrucci e Francesco Francesconi.
Dopo Firenze, la mostra “Nativity” andrà nel museo del Castello di Montechiarugolo, vicino a Parma, dove concluderà il percorso iniziato a Roma con l’apertura della Porta santa.