La tragedia del riscaldamento globale
Legambiente: «La Sardegna è una delle regioni italiane più esposte agli impatti del cambiamento climatico»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«La Sardegna è una delle regioni italiane più esposte agli impatti del cambiamento climatico, ma ancora troppo poco è stato fatto per proteggere le sue città. Bisogna accelerare non solo con l’adozione, ma soprattutto con l’attuazione di strategie di adattamento, affrontando la sfida climatica con un atteggiamento orientato al cambiamento: forestazione, rifunzionalizzazione del costruito senza consumo di nuovo suolo, gestione sostenibile delle acque, sono solo alcune delle soluzioni per affrontare con efficacia, con il necessario coinvolgimento delle comunità, le sfide del cambiamento climatico», dice Marta Battaglia, presidente regionale di Legambiente.
La Sardegna - riporta l’Osservatorio Città Clima 2025 - è una regione particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici sotto diversi punti di vista. Le proiezioni prevedono già nel 2050 un generale aumento delle temperature - tra 1,3 e 1,6 gradi in media - una riduzione delle piogge e soprattutto l’aumento del numero e dell’intensità degli eventi estremi, in particolare ondate di calore e piogge intense.
L’Osservatorio di Legambiente riporta quest’anno 74 eventi estremi, poco meno della metà sono allagamenti dovuti a piogge intense (29), seguono quelli legati alla siccità (17) e i danni causati dal vento (13). Sassari è la prima nell’Isola e la sesta a livello nazionale tra le città comprese tra 50 e 150mila abitanti, con 10 eventi, tra i quali 4 allagamenti e 3 legati alla siccità. Segue Cagliari con 4 eventi e Olbia con 2. Tra queste, Olbia è l’unica che è ancora sprovvista di un piano o una strategia di adattamento.
Gli effetti della siccità li stiamo vedendo anche in questi mesi con un livello di riempimento degli invasi – continua il documento – che, in ottobre è sceso al 36,8%, e la situazione critica negli invasi del Bidighinzu con le conseguenti restrizioni all’erogazione idrica, e le temperature medie sono cresciute di circa 2 gradi centigradi dal 1979 ad oggi. Il rapporto di Legambiente ricorda anche che Alghero, Oristano e Cagliari sono tra le città italiane più vulnerabili all’innalzamento del livello marino. Nel Golfo di Cagliari il livello del mare è aumentato dal 2000 al 2013 di 6,8 millimteri all’anno, e gli studi prevedono al 2100 un aumento che, a seconda degli scenari climatici più o meno ottimistici, va da settanta centimetri a quasi un metro con conseguente allagamento di vaste aree costiere periurbane.
«Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura, ma una realtà presente», sottolinea Giorgio Querzoli, responsabile scientifico di Legambiente Sardegna. «La Sardegna deve agire ora per proteggere il suo territorio e garantire un futuro sostenibile alle generazioni che verranno con una efficace strategia di adattamento delle zone costiere che prepari fin da ora città come Alghero, Cagliari e Oristano ai cambiamenti conseguenti all’innalzamento del livello del mare. Le città devono essere rese verdi e i loro suoli permeabili, il patrimonio edilizio va riqualificato dal punto di vista delle prestazioni energetiche, e bisogna finalmente risolvere la piaga della dispersione idrica, tra le più alte d’Italia. E per rendere concrete queste politiche, i comuni devono essere dotati di competenze tecniche specifiche».
A livello nazionale, negli ultimi 11 anni - dal 2015 a settembre 2025 - sono ben 811 gli eventi meteo estremi, di cui 97 nel 2025 (gennaio-settembre), registrati in 136 comuni sopra i 50mila abitanti dove vivono in tutto 18,6 milioni di persone, il 31,5% della popolazione nel nostro Paese. Eppure - prosegue l’Osservatorio - solo il 39,7% dei comuni in questione ha messo in campo un piano o una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici.
«L’Italia paga sulla propria pelle i ritardi legati all’attuazione del Pnacc (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici) e l’assenza di una legge contro il consumo di suolo», sottolinea l’associazione ambientalista. «Priorità totalmente dimenticate dal Governo Meloni. Per questo si ribadire all’Esecutivo l’urgenza di stanziare le risorse per finanziare e dare piena attuazione al Pnacc, che a distanza di due anni dalla sua approvazione, resta ancora un piano solo sulla carta, insieme alle 361 misure da adottare su scala nazionale e regionale. Un ritardo inaccettabile, dato che la mancata attuazione rallenta a cascata la redazione di Piani locali di adattamento al clima».
Ancora: «È urgente istituire con decreto l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, composto dai rappresentanti delle Regioni e degli Enti locali per l’individuazione delle priorità territoriali e settoriali e per il monitoraggio dell’efficacia delle azioni di adattamento. Il decreto doveva essere emanato entro il 21 marzo 2024, ossia a tre mesi dall’approvazione del Pnacc, ma a oggi non ha visto ancora la luce».
Martedì scorso si è aperta a Belem, in Brasile, la 30esima conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Fino al 21 novembre il vertice vedrà la partecipazione di 50mila delegati riuniti alle porte dell’Amazzonia, il più grande polmone verde del pianeta, per negoziare l’adozione di soluzioni all’emergenza climatica. L’evento coincide anche con due importanti anniversari: i 20 anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e i dieci anni dall’accordo di Parigi del 2015, che impegnò il mondo a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C. I lavori sono stati aperti dal presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, che ha sottolineato la portata emergenziale del riscaldamento globale: «Non più una minaccia per il futuro, ma una tragedia del presente».
