La punizione impossibile, quel gesto magico di Maradona
Quarant’anni fa l’esecuzione perfetta che decise Napoli-Juventus e celebrò il genio del campione argentinoLa punizione di Maradona calciata in Napoli-Juventus del 3 novembre del 1985
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C’è una pioggia fitta e fredda sul San Paolo in quella domenica d’autunno. La Juventus campione d’Europa di Trapattoni arriva a Napoli con un biglietto da visita micidiale: otto vittorie nelle prime otto partite di campionato, la corsa perfetta che culminerà poche settimane dopo con il trionfo nella Coppa Intercontinentale, il tetto del mondo del calcio per club. Quel 3 novembre del 1985 però lo squadrone bianconero deve fare i conti con Maradona, con il suo sinistro fatato e con la punizione che ribalta le regole della fisica. Un’esecuzione geniale e folle che fa entrare in porta la palla da una posizione impossibile. La scena è consegnata alla memoria collettiva: erba zuppa, maglie intrise di fango, il ruggito dei 70mila tifosi azzurri, i primi vagiti di un Napoli che entrerà nella storia della Serie A, trascinato dal folletto argentino. Il tabellino finale di quel pomeriggio (tutte le partite si giocano in contemporanea domenica alle 14.30, le dirette tv appartengono a un futuro ancora lontano) dirà 1‑0, ma l’immagine che rimane è legata a un gesto, un fotogramma irripetibile.
L’esecuzione perfetta
Al minuto 72 di gioco, dopo la battaglia su un campo pesantissimo, l’arbitro Giancarlo Redini assegna al Napoli una punizione “di seconda” dentro l’area juventina. Una rarità già allora (fallo di ostruzione), ora pressoché scomparsa perché ogni minima scorrettezza dalle parti del portiere viene sanzionata con il rigore. Non si può tirare di prima, servono due tocchi per tentare la via della rete. Il pallone è vicinissimo alla porta, la barriera della Juve è fittissima, sembra insuperabile. Il portiere bianconero Stefano Tacconi non potrebbe essere più protetto, così si mette di guardia sul secondo palo. La scelta più saggia per trasformare la punizione sarebbe un tocco laterale, per poi tentare la rasoiata, un tiro forte per sfondare la barriera. Diego Armando Maradona decide invece di prendere la via più difficile ed estrema: quella della fantasia, della sua fantasia da interprete inarrivabile del calcio. Eraldo Pecci, mediano di fiducia con uno scudetto sul petto (con la maglia del Torino), si avvicina per l’appoggio d’ordinanza. «Non ci passa…», dice al compagno argentino nel retroscena diventato leggenda: «Tocca la palla, poi la faccio passare io», risponde Maradona sotto il cielo plumbeo e davanti ai settantamila spettatori ammutoliti. Pecci insiste: «Ti dico che non ci passa». Ma Diego è già concentrato, aspetta solo il passaggio con i centimetri giusti. Il numero otto del Napoli lo asseconda e, al fischio dell’arbitro, sposta il pallone del tanto che basta: «Sono entrato anche io casualmente nella storia», se la ride quarant’anni dopo. «È come se avessi passato a Michelangelo un tubetto di colore mentre dipingeva la Cappella Sistina».
Storia del calcio
Un’immagine di pochi secondi, un frammento che la letteratura calcistica tramanderà all’infinito nella narrazione delle imprese di Maradona. Il sinistro è una carezza al pallone che si alza per magia appena sopra le teste dei giocatori bianconeri, prima di precipitare con un giro innaturale sotto la traversa, sul primo palo. Tacconi vola, allunga la mano, ma non ci arriva. Il San Paolo esplode, un boato fa tremare lo stadio e quasi asciuga la pioggia. Anche la voce di Enrico Ameri, indimenticato radiocronista di Tutto il calcio minuto per minuto di Radiouno, è attraversata da un fremito quando racconta a chi non è dentro lo stadio quello che succede: «Magnifico gol di Maradona». Soltanto poche ore dopo si vedranno le prime immagini in tv di quella punizione diventata storia.
Gol decisivo
Finisce 1-0, il Napoli ferma la partenza perfetta della Juventus, costretta a inchinarsi davanti al genio del Pibe de oro. I bianconeri alla fine vinceranno a fatica lo scudetto dopo una stagione culminata nel finale col suicidio sportivo della Roma (sconfitta in casa col già retrocesso Lecce). Quell’1-0 di novembre è però il segnale di un cambiamento che arriverà di lì a poco. Il Napoli capisce di potersela giocare con chiunque (in quel campionato arriverà terzo) perché con Maradona tutto è possibile. Come succede pochi mesi dopo all’Argentina, trascinata sul tetto del mondo dalle imprese del suo campione in Messico. Il ritorno di Diego sotto il Vesuvio accende la marcia trionfale del Napoli, che - nel 1987 - conquisterà il primo scudetto della sua storia. Il momento fondativo dell’ascesa azzurra resta però nella punizione impossibile di quel pomeriggio d’autunno. Da quarant’anni si studia il gesto tecnico di Maradona per provare a dare un senso alla traiettoria della palla, ma non arriverà mai una spiegazione razionale. Quella punizione si può solo contemplare e tramandare, nel ricordo dell’epopea di un calcio stellare (Maradona era la punta di diamante in un tempo di grandi campioni) che in Italia non si è più visto.
