John Lennon, il mito che non tramonta mai
Quarantacinque anni fa l’assassinio a New York del leggendario artista ingleseUn'immagine di John Lennon negli anni Settanta con gli immancabili occhialini tondi
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Simbolo di libertà, di ribellione, di utopia pacifista, una figura dirompente e trasversale capace di attirare l’attenzione di intere generazioni. Ha scritto pezzi tra i più iconici nella storia della musica moderna ma ha superato i confini della discografia per entrare in una dimensione rarefatta, dove abitano soltanto i miti. Sono passati quarantacinque anni dal tragico 8 dicembre 1980 che mise fine alla vita terrena di John Lennon, ma la leggenda dell’ex beatle non si è mai offuscata: i cinque colpi di pistola davanti al Dakota Building di New York hanno avuto l’effetto paradossale di lanciare ancora più in alto la dimensione planetaria dell’artista inglese morto a soli quarant’anni.
Il delitto del Dakota Building
Eppure resta ancora forte l’eco di quella sera d’autunno in cui il mondo si paralizzò davanti alla notizia che non avrebbe mai voluto sentire. Lennon stava rientrando nel palazzo residenziale affacciato su Central Park dopo una giornata passata tra interviste e lo studio di registrazione. Nascosto nell’ombra, a pochi passi dal portone d’ingresso, c’era un giovane fan, Mark David Chapman, che poche ore prima si era fatto autografare una copia di Double Fantasy, l’album appena uscito con pezzi indimenticabili come “Woman” o “Starting over”. Il venticinquenne americano aprì il fuoco con una pistola, colpendo il cantante alle spalle. La morte arrivò dopo pochi minuti, inutile il trasporto in ospedale. Devastanti le ferite provocate dai proiettili. L’annuncio della morte di John Lennon venne dato in diretta tv durante una partita di football americano. In pochi istanti attraversò tutto il mondo. Migliaia di persone si radunarono davanti al Dakota, in ogni angolo del pianeta ci furono veglie spontanee. Non c’è stato un funerale pubblico: Yoko Ono, l’artista giapponese con cui l’ex voce dei Fab Four aveva condiviso gli ultimi anni di vita, chiese ai fan di commemorarlo ovunque si trovassero, con dieci minuti di silenzio. Il corpo fu cremato, le ceneri sparse in mare, nelle acque dell’Oceano Atlantico.
Biografia di una leggenda
Lennon nasce a Liverpool il 9 ottobre 1940. Il futuro beatle cresce tra assenze familiari, collegi e uno spirito ribelle che si forma durante gli anni da adolescente ma attraverserà tutta la sua esistenza. La musica diventa presto l’uscita di sicurezza: prima lo skiffle (ballate folk tipicamente angloamericane), poi l’energia del rock and roll. Nel 1957 l’incontro che cambierà la storia della musica. Lennon conosce un ragazzo più giovane di due anni: è Paul McCartney, l’altro pezzo del sodalizio che diventerà leggenda. George Harrison e Ringo Starr chiudono il cerchio magico. Nascono i Beatles, Lennon diventa la metà più caustica e aggressiva del duo che guida il gruppo. Se Paul è la melodia rassicurante dei pezzi più lineari, John è l’anima pungente, il graffio: ironico, politicamente irriverente, spesso provocatorio.
I favolosi quattro
Assieme scrivono alcune delle canzoni più celebri del Novecento, impossibile elencarle tutte. Si può giusto fare un ordine cronologico tra la stagione d’apertura (“Love me do” o “A hard day’s night” e “Ticket to ride”) e il tempo crepuscolare di “Let it be” o “Something” e “The long and winding road”. In particolare tra il 1964 e il 1969 i Beatles non sono solo una band, ma un fenomeno socioculturale globale. Il mondo viene travolto dalla forza dirompente del quartetto inglese che segna un’epoca nella musica, nell’arte, nel costume, nella moda. I giovani seguono i Fab four in tutto e per tutto. Come nel look, che parte dal periodo mod per arrivare a quello più hippy e psichedelico. Lennon e gli altri passano dal caschetto con abiti scuri attillati ai capelli lunghi e le giacche colorate. È il tempo in cui compaiono gli immancabili occhialini tondi di John. Lui diventa sempre più tagliente e sarcastico, spiazza giornalisti, critica e pubblico benpensante.
L’amore per Yoko, lo strappo con i Beatles
La storia cambia quando entra in scena Yoko Ono, artista d’avanguardia incontrata alla fine degli anni Sessanta in una galleria londinese. Il loro rapporto è totalizzante: Lennon vede in lei (che ha sette anni di più) non solo la compagna di vita, ma una partner artistica e politica. Le tensioni interne ai Beatles crescono, la magia del quartetto si incrina e nel 1970 arriva lo scioglimento. Per milioni di fan è uno strappo irreparabile, ma Lennon è già lanciato nella sua nuova stagione: l’immagine dell’artista appare più fragile ma anche più istintiva e autentica. Con Yoko firma dischi che intrecciano rock, sperimentazione e attivismo. “Imagine” (del 1971) diventa il manifesto di un pacifismo radicale, una preghiera laica che ancora oggi viene suonata nei momenti di speranza condivisa o di lutto collettivo. Tra gli altri pezzi immortali confezionati dall’ex ragazzo ribelle ci sono “Jealous guy, Happy Xmas (War is over)
Il musicista che voleva cambiare il mondo
Lennon continua a scrivere canzoni ma soprattutto si fa corpo e volto delle istanze pacifiste contro la guerra in Vietnam. Organizza i celebri "bed-in" per la pace, trasformando la propria camera d’albergo in un set mediatico. Utilizza la sua fama come un megafono, con slogan semplici e spiazzanti, convinto che la cultura pop possa incidere sulla politica. Questa esposizione gli procura molte simpatie ma più di un avversario/nemico: la sua figura negli Stati Uniti – dove si trasferisce con la compagna giapponese – diventa quasi ingombrante, soprattutto nella stagione della guerra in Vietnam. È sorvegliato dall’Fbi, trova molti ostacoli nelle richieste di visto permanente negli Usa. Ma il suo messaggio resta chiaro e non si incrina mai: si può sognare un mondo diverso, si può immaginare «tutta la gente che viva la vita in pace». “Imagine all the people living life in peace”
Gli anni dell’ombra e il ritorno
A metà anni Settanta, dopo il cosiddetto “lost weekend” di separazione temporanea da Yoko che apre un periodo di vita privata turbolenta, Lennon quasi si ritira dalla scena pubblica. Vive una relazione con la sua assistente May Pang, per poi ritornare con Yoko Ono. Decide di dedicarsi alla famiglia e al figlio Sean, nato nel 1975, provando a costruirsi uno stile di vita quotidiano quasi normale nel cuore di Manhattan. Nel 1980 scoppia di nuovo la scintilla con la musica e propone l’album Double Fantasy: l’artista partito da Liverpool appare sereno, di nuovo in armonia con la sua metà giapponese, sembra pronto a rimettere sul piatto del giradischi il suo talento da inarrivabile cantautore. Ma quelle pagine del nuovo capitolo verranno chiuse per sempre dai colpi di pistola del Dakota Building.
L’eredità lasciata da Lennon
A quarantacinque anni da quell’assassinio John Lennon resta ancora un simbolo che si muove su almeno tre piani. Quello musicale: il percorso con i Beatles e la carriera solista sono pietre angolari che hanno gettato le basi della musica pop e rock. Dalle prime canzoni adolescenziali alle composizioni più mature, Lennon ha spinto in avanti i confini di ciò che una canzone poteva dire e come si poteva suonare. Poi c’è l’eredità culturale: il cantante inglese è l’ambasciatore di una generazione che ha messo in discussione autorità, guerre, convenzioni sociali. Il suo volto è legato a slogan e movimenti che ancora oggi vengono citati quando si parla di diritti civili e libertà di espressione. C’è anche la testimonianza politica e morale: il messaggio di pace, disarmo e fratellanza resta attuale in un mondo che fa ancora i conti con guerre, muri e disuguaglianze. “Give peace a chance”, scriveva nel 1969, dai una possibilità alla pace.
Un’assenza che fa sempre rumore
Il paradosso di Lennon è che la morte ha amplificato la sua presenza. L’8 dicembre diventa ogni anno un’occasione per riascoltare i grandi classici, ma anche per immaginare cosa direbbe oggi davanti ai conflitti contemporanei (come l’Ucraina o Gaza), alle crisi ambientali, alle nuove disuguaglianze. Magari non avrebbe risposte definitive, ma forse anche a ottant’anni suonati sceglierebbe la stessa ostinazione: il rifiuto di accettare il mondo “che funziona così” come unica possibilità. A quarantacinque anni dal 1980, il volto iconico di John Lennon continua a parlarci proprio per questo: ci ricorda che sognare un pianeta diverso non è un vezzo da star, ma una responsabilità che riguarda tutti.
