Il picco dell’infelicità? Ora arriva da giovani, colpa degli smartphone
Secondo un nuovo studio, il benessere psicologico non segue più la tradizionale curva a U che toccava il livello minimo nella mezza età, per poi risalire: «Oggi le nuove generazioni stanno peggio dei loro padri e dei loro nonni»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
“I migliori anni della nostra vita”, oltre a essere una frase fatta e il titolo di una canzone, è un’espressione considerata generalmente sinonimo di giovinezza: ma forse dovremo abituarci a non ritenere più valida quella equazione. Per lungo tempo gli studiosi di antropologia e scienze umane hanno osservato un andamento sorprendentemente regolare del benessere lungo l’arco della vita: la felicità seguiva una curva a U, che partiva da un picco negli anni della giovinezza e diminuiva fino alla mezza età, per poi risalire in seguito. Al contrario, l’infelicità formava una gobba, concentrandosi soprattutto negli anni centrali per poi andare in calo. Oggi, però, questo schema sembra totalmente alterato.
Un nuovo studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Plos One da David G. Blanchflower, Alex Bryson e Xiaowei Xu documenta come la salute mentale dei giovani stia peggiorando in modo preoccupante, al punto da aver cancellato la cosiddetta “unhappiness hump”, la gobba dell’infelicità. “Non c’è più un picco di malessere a metà della vita – spiegano gli autori – ora l’infelicità cala progressivamente con l’età, perché i più giovani stanno molto peggio rispetto agli adulti e agli anziani”. Insomma, non si tratta di un miglioramento del benessere delle generazioni più mature, ma di un netto peggioramento che riguarda quelle più verdi. E una delle principali ragioni potrebbe essere l’abuso dei dispositivi digitali, nonché il fatto di vivere continuamente connessi alla rete internet ed esposti sui social network.
Sempre più “disperati”
Secondo alcuni dati raccolti negli Stati Uniti e nel Regno Unito, la quota di giovani che dichiara di aver attraversato periodi di disperazione è più che raddoppiata negli ultimi vent’anni. Come spiegano i tre ricercatori in un articolo apparso sulla testata di divulgazione scientifica online The Conversation, per “disperazione” si intende la condizione delle persone che, ai sondaggi specifici, “hanno risposto che la loro salute mentale non era buona per ogni giorno dei 30 giorni precedenti l'indagine”. Tra le ragazze sotto i 25 anni, i livelli di disagio mentale hanno ormai raggiunto quelli che in passato riguardavano i cosiddetti “white working class” di mezza età, la classe operaia bianca al centro del dibattito sui “deaths of despair”, vale a dire i morti di disperazione. Con questa espressione si tendeva a indicare il fenomeno dell’aumento della mortalità registrato in alcuni ceti sociali, per cause come alcolismo, droghe e suicidi, connessi a situazioni di gravi disuguaglianze socioeconomiche e difficoltà dell’ambiente di vita. Negli Stati Uniti, in particolare, se prima i “livelli di disperazione” erano più alti nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni e in quella tra i 45 e i 70, rispetto alla fascia dei 18-24 anni, ora la situazione appare capovolta. La percentuale di giovani disperati “è più che raddoppiata per gli uomini”, sottolineano gli autori, “dal 2,5% del 1993 al 6,6 del 2024; e quasi triplicata per le donne, dal 3,2% al 9,3”.
Il quadro non migliora osservando i dati globali. Analizzando 44 Paesi tra il 2020 e il 2025, i ricercatori mostrano che quasi la metà degli under 25 presenta punteggi di salute mentale negativi: “Il 48% dei giovani – scrivono – può essere considerato clinicamente a rischio, contro il 25% della popolazione generale”.
Il deterioramento della salute mentale non è solo un problema individuale, ma è collegato a conseguenze molto concrete: aumento dei suicidi giovanili (cresciuti del 70% tra i 12 e i 17 anni negli Usa dal 2008 al 2020), maggior ricorso agli antidepressivi, difficoltà scolastiche e abbandono degli studi. Anche il mercato del lavoro risente della crisi: dal 2019 al 2022, tra i 16 e i 24 anni si è registrato un incremento del 29% dei giovani economicamente inattivi a causa di malattie di lunga durata, in gran parte legate alla salute mentale.
Le motivazioni
Come possibili cause di questa tendenza, i tre studiosi suggeriscono più fattori. La crisi economica del 2008 e le difficoltà di accesso al lavoro hanno “lasciato cicatrici sulle nuove generazioni”, mentre la pandemia ha aggravato un’evoluzione già in corso. E la scarsità di risorse dedicate alla salute mentale ha aumentato i tempi di attesa per le cure, peggiorando le condizioni dei pazienti.
Ma la spiegazione più dibattuta riguarda l’impatto degli smartphone e dei social media. Blanchflower, Bryson e Xu riportano un crescente numero di studi che associano l’uso intensivo dei dispositivi digitali a un calo del benessere psicologico. “Ci sono ormai solide evidenze che vi sia un legame di causalità tra i due aspetti”, affermano: “Limitare l’accesso agli smartphone produce miglioramenti significativi nel benessere percepito, soprattutto tra le ragazze”. I tre precisano anche di ritenere “improbabile” che il tempo trascorso davanti agli schermi dei vari dispositivi “sia l’unica ragione della crescente disperazione tra i giovani”, ma lo valutano comunque come “un fattore determinante”.
Il dato forse più inquietante è che il fenomeno della maggiore infelicità tra i ragazzi non è circoscritto a un Paese o a una cultura, ma sembra riguardare l’intero pianeta. “Abbiamo osservato – scrivono i ricercatori – che in 44 Paesi l’infelicità cala con l’età: non esiste più una gobba a metà della vita, perché i giovani di oggi stanno peggio dei loro genitori e dei loro nonni”.
Il risultato è una generazione più vulnerabile, meno capace di costruire capitale umano e sociale, con rischi enormi per il futuro. Gli autori concludono con un avvertimento che suona come un appello: “Il declino globale del benessere giovanile non mostra segni di arresto. È una delle sfide più urgenti del nostro tempo”.