Il museo dell’ossidiana, viaggio tra storia e scienza
Il parco custodisce il maggiore giacimento di pietra nera delle popolazioni preistoriche del Mediterraneo
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Un viaggio tra storia e scienza in un minuscolo paese di trecento abitanti. Pau, nel cuore del Monte Arci, scommette tanto sul museo dell’ossidiana, piccolo e moderno, arricchito da una vasta collezione di reperti geologici e archeologici, capace di proiettare il visitatore in tempi lontanissimi come pure di fargli fare un giro del mondo inconsueto tra Perù e Ecuador, Pantelleria e Lipari, l’area del Mar Egeo e i Carpazi, l’Anatolia e l’Etiopia, la Georgia e l’Armenia. Sono i luoghi da cui provengono porzioni di ossidiana, in vetrina assieme ai frammenti più familiari, raccolti nel complesso vulcanico del Monte Arci dove si affacciano Pau, Masullas, Marrubiu e Morgongiori. Questa porzione della Marmilla rappresenta la più antica zona mineraria della Sardegna visto che già ottomila anni fa l’ossidiana veniva lavorata con grande abilità. Non a caso il Monte Arci è una delle otto aree che compongono il parco geominerario storico e ambientale della Sardegna, istituito nel 2001, primo del genere al mondo. Custodisce un giacimento di ossidiana tra i più importanti per le popolazioni preistoriche del Mediterraneo.
Nel museo oggetti, pannelli e video aiutano a cogliere le virtù di questa roccia nera e vetrosa, lucida e affilata, resistente e tanto apprezzata nel Neolitico, tra 6000 e 4000 a. C. Soprattutto facile da reperire in superficie, dove abbondano ciottoli di varia dimensione e forma. Tanti affioramenti non rendono necessari, neppure in passato, scavi per l’estrazione dal sottosuolo. Consentono che i blocchi di ossidiana siano a portata di mano per scheggiatori abili a modellare la materia prima. Bisogna, però, saperci fare perché quella pietra è speciale: si scheggia con facilità, diventa tanto affilata, è ideale per realizzare punte di armi e proiettili, falcetti, pugnali, lame per trattare le pelli. Una grande varietà di utilizzo la rendevano appetibile in Sardegna e in terre oltre il mare. Le analisi chimico-geologiche individuano quattro tipi di ossidiana, in base alla composizione chimica, e corrispondono ad altrettante sorgenti: c’è quella trasparente e vetrosa del versante meridionale del Monte Arci in territorio di Masullas, ha qualità diversa quella del fianco occidentale tra Marrubiu e Mongongiori. È di tipo più opaco quella emersa a 700 metri di quota in un’area del versante orientale, utilizzata nel Neolitico recente e finale.
«Per noi il museo è una bella sfida: Pau è la periferia della periferia, lontano dalle maggiori vie di comunicazione, ma è centrale rispetto all’ossidiana. Questo museo è l’unico in Europa dedicato all’ossidiana, uno dei due al mondo: l’altro si trova in Giappone. Siamo perciò in un posto unico, sebbene lontano dalle principali strade di collegamento. Questo rappresenta la nostra forza», sottolineano Cristina Ciccone e Giulia Balzano dell’associazione Menabò che gestisce la struttura. Realizzato in un vecchio asilo, è decollato nel 2010. L’associazione se ne occupa dal 2011. «Abbiamo iniziato con mille visitatori, poi abbiamo registrato una crescita fino a cinquemila l’anno: non è poco per un museo così piccolo». Scuole, famiglie, gruppi organizzati: tutti negli anni incrociano oggetti e curiosità tra queste sale dove c’è occasione di fare una visita multimediale per scoprire le tecniche di lavorazione, come pure di posare le proprie mani sui frammenti durante i laboratori esperienziali.
L’ossidiana si porta appresso tante storie: non è stata utilizzata solo per realizzare armi e strumenti simili. In tempi lontani era considerata roccia divina: le venivano riconosciute prerogative magiche o terapeutiche. Negli ultimi due secoli in Sardegna la tradizione le attribuiva altre virtù, come talismano che protegge dal malocchio e dall’invidia. La varietà di amuleti testimonia questa credenza: perle nere fissate su collane o supporti d’argento venivano sistemate nelle culle dei neonati o esibite negli abiti tradizionali. Una sezione del museo mostra le immagini dei gioielli simbolo, ma si può anche ammirare la forza artistica di questa materia nera e lucente, legata a un’evoluzione moderna nel suo utilizzo. L’ossidiana è materia prima diffusa per i manufatti di epoca preistorica, fino all’età nuragica. Con l’arrivo di Fenici, Cartaginesi e Romani questa consuetudine si esaurisce. Dell’ossidiana si trova traccia solo negli impasti ceramici per modellare mosaici e vasi. Rispunta in tempi più recenti nelle sculture di artisti e artigiani. Tra i più appassionati Gianni e Giuseppe Atzori e Karmine Piras di Oristano.
Alcune opere fanno bella mostra nel corridoio del museo, passaggio conclusivo della visita dopo l’immancabile tappa nella veranda panoramica, tanto ampia da ospitare concerti e altre iniziative, e nel cortile interno dove è stata ricreata un’officina di lavorazione dell’ossidiana di epoca preistorica: blocchi e frammenti emergono tra lentischi e corbezzoli, assieme alle pietre usate come percussori e agli scarti del lavoro. Insomma, tra tanta archeologia e scienza c’è posto anche per l’arte. Chi vuole andare oltre può scoprire il sentiero nero, in mezzo al bosco, quasi ad attraversare la preistoria o almeno a toccarla con mano.