Quanto guadagnerebbe una donna se fosse un uomo? Si è chiesto nei giorni scorsi “Il Sole 24 Ore”.

Il gender pay gap è un male che affligge tutti i settori, in Italia, in Europa e nel mondo. Significa che le buste paga delle lavoratrici sono più leggere di quelle dei colleghi, nel nostro Paese la differenza si aggira intorno al 20%, e diventa 30% nella pensione.

Il 15 settembre la Uil ha ricordato il trentesimo anniversario della Dichiarazione di Pechino, il documento sottoscritto nel 1995 da 189 Paesi che ha fissato le linee guida per l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne. Con l’articolo 26 che impegna tutti i firmatari a «promuovere l’indipendenza economica delle donne, in particolare per mezzo dell’occupazione, e a eliminare il perdurante e crescente peso della povertà sulle donne, affrontando le cause strutturali della povertà per mezzo di cambiamenti nelle strutture economiche che assicurino a tutte le donne pari accesso, in quanto protagoniste essenziali dello sviluppo, alle risorse produttive, alle opportunità e ai pubblici servizi».

A trent’anni di distanza, molti obiettivi sono stati raggiunti, ma troppi restano ancora lontani dalla piena realizzazione.

«Il divario resta profondo», ha detto la segretaria regionale Fulvia Murru. «In termini di gap occupazionale, perché nel 2024 le donne presentano un tasso di occupazione inferiore a quello maschile di 17,8 punti percentuali, con il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa. E una donna su tre lavora part-time, spesso in modo involontario». Ancora, in termini di retribuzione: perché «gli stipendi femminili sono stati mediamente più basse del 29,5% rispetto a quelli maschili, con un divario che per le operaie arriva addirittura al 40%».

Il tasso di occupazione femminile in Sardegna si ferma al 52,4% contro il 56,5% nazionale (dati Istat di gennaio 2025). La retribuzione oraria media è di 12,4 euro, ben al di sotto della media italiana di 16,4 euro. Il part-time involontario tocca quota 23,4, tra i livelli più alti del Paese.

«Non possiamo limitarci a celebrare un anniversario», dice Murru, «è necessario agire con decisione: il contributo delle donne al mondo del lavoro significherebbe non solo giustizia sociale, ma crescita economica per l’intera collettività. Colmare il divario di genere potrebbe portare a un aumento del Pil europeo fino al 9,6% entro il 2050, con un impatto di trilioni di euro».

Dunque, «è necessario rafforzare i servizi di sostegno alle famiglie, dall’infanzia al care giving; sostenere i percorsi formativi Stem per le ragazze; incentivare lavoro stabile, di qualità e tutelato; combattere le distorsioni del mercato che costringono le donne a scelte non libere. Al ritmo attuale servirebbero oltre 120 anni per raggiungere la piena parità di genere in Italia. Troppo tempo. Le nostre bambine, ragazze e donne devono potersi immaginare protagoniste in ogni ruolo economico e sociale, e devono poter contare su percorsi reali per trasformare i loro sogni in realtà. Questo è l’impegno che tutti insieme dobbiamo perseguire».

Il problema del gender pay gap esiste nel Regno Unito, dove il divario retributivo di genere su tutta la popolazione attiva, a prescindere che si tratti di occupazioni full time o part-time, si attesta sopra il 13%. Considerando, invece, solo le occupazioni a tempo pieno, il gap si è ridotto di un quarto negli ultimi dieci anni. Arrivando (dati dell’ufficio nazionale per le statistiche) al 7% nell’aprile 2024, in calo dello 0,5% anche sulle rilevazioni dell’anno precedente.

Nell’Unione europea si ritrovano percentuali simili ma in Lussemburgo, ad esempio, lo scarto è quasi inesistente, anzi le donne sono pagate lo 0,9% in più, mentre in Lettonia la forbice sfiora il 20%.

Tra i 25 e i 34 anni, il gender pay gap massimo, registrato in Bulgaria, è del 16,8%, e il minimo ha il segno meno: -5%, in Belgio. Tra gli occupati 45-54enni, la disparità arriva a percentuali massime di oltre il 20%. Con il record della Svizzera (23,1%), poi c’è la Germania (22,8%), la Repubblica Ceca (20,9%) e l’Ungheria (20,1%). La forbice continua poi ad allargarsi nella fascia oltre i 55 anni. In questo caso la differenza massima tra i compensi raggiunge il 26,3%, in Germania. A seguire i numeri registrati a Cipro (25,7%), Svizzera (25,2%) e Francia (21,4%). Secondo Eurostat: «Il divario retributivo di genere potrebbe aumentare con l’età a causa delle interruzioni di carriera che le donne potrebbero subire durante la loro vita lavorativa».

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