Sembrava l’incipit di un romanzo, o la prima scena di una nuova serie tv di azione e spionaggio: “Il mondo ha scoperto poco prima delle due del pomeriggio del 15 marzo che gli Stati Uniti stavano bombardando alcuni obiettivi Houthi nello Yemen. Io però l’ho saputo due ore prima che esplodessero le prime bombe. E l’ho saputo perché il ministro della Difesa mi ha mandato i messaggi di guerra, via sms, a mezzogiorno meno un quarto”. Molto avvincente: ma questa è una storia vera, non un episodio di Jack Ryan.

L’incredibile racconto pubblicato nei giorni scorsi da Jeffrey Goldberg, direttore dell’influente rivista politico-culturale americana The Atlantic, è diventato un caso mondiale. Sembrava inizialmente l’ennesima gaffe degli strani personaggi scelti da Donald Trump per governare il Paese dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, ma ha poi svelato evidenti problemi di sicurezza nazionale. La “trama”, ormai pare assodato, è semplice: per un clamoroso errore, un giornalista è stato incluso in una chat con alcuni big dell’amministrazione che scambiavano informazioni su un’operazione bellica che era, ovviamente, segretissima.

Notizie altamente riservate

In questi giorni è esplosa la polemica soprattutto su alcune frasi contenute in quella chat, specie quelle contro l’Europa. Ma così è passato in secondo piano l’esatto svolgimento dei fatti come raccontati da Goldberg. Una sequenza che, se non fosse arrivata la conferma ufficiale della Casa Bianca sull’autenticità della chat, apparirebbe appunto come una sceneggiatura piuttosto fantasiosa e poco verosimile.

Le comunicazioni viaggiavano su Signal, piattaforma di messaggistica che, per quanto criptata, non è tra quelle ammesse dal governo per la condivisione di notizie altamente riservate. Goldberg, nel suo articolo apparso sulla versione online della rivista, racconta di aver ricevuto l’11 marzo una richiesta di connessione su Signal da un utente chiamato Michael Waltz, come il consigliere di Trump per la sicurezza nazionale: inizialmente non credeva che fosse il vero Waltz – pur avendolo conosciuto in passato – ma qualcuno che si spacciasse per lui. Anche perché The Atlantic è una delle testate più critiche col presidente.

Era invece davvero Waltz, e Goldberg ha iniziato a sospettarlo quando, due giorni dopo, è stato incluso da lui nella chat “Gruppo ristretto PC Houthi”. Pc sta per Principals Committee, cioè le figure più importanti del Comitato per la sicurezza nazionale: per dare l’idea del livello di esclusività, ne fanno parte il segretario di Stato, i ministri della Difesa e del Tesoro, il capo della Cia e pochi altri. Continuando a dubitare di essere finito in una specie di candid camera telematica, il direttore di Atlantic ha visto comparire nella chat utenti coi nomi dei vari Marco Rubio (segretario di Stato), Tulsi Gabbard (direttrice nazionale dell’Intelligence), Steve Witkoff, negoziatore di Trump per l’Ucraina e il Medio Oriente, persino il vicepresidente JD Vance. “Avevo fortissimi dubbi che quel gruppo fosse vero”, scrive Goldberg, “perché non potevo credere che i responsabili della sicurezza nazionale potessero comunicare imminenti piani di guerra su Signal. Né che il consigliere del presidente per la sicurezza nazionale fosse così distratto da includere il direttore di The Atlantic in una simile conversazione”, che ormai faceva intuire – a prenderla sul serio – un attacco militare contro gli Houthi, gruppo armato sciita localizzato nello Yemen, che nel suo motto recita, tra le altre cose, “morte all’America, morte a Israele”.

I dubbi di Vance su Trump

La mattina del 14 marzo la cosa diventa ancora più interessante, perché l’utente JD Vance esprime dubbi sull’opportunità dell’operazione (“stiamo facendo un errore”). Le azioni degli Houthi mettono a rischio la sicurezza dei commerci nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso, cioè quelli che passano dal Canale di Suez: ma “solo il 3% degli scambi commerciali Usa passano attraverso Suez”, scrive Vance, “a fronte del 40% di quelli europei”. Il dubbio, insomma, è che l’operazione venga intesa dall’opinione pubblica come un favore fatto all’Europa, in contraddizione con le recenti posizioni antieuropee di Trump.

La replica a Vance arriva direttamente dall’account di Pete Hegseth, il segretario alla Difesa: “Capisco le tue preoccupazioni”, scrive al vicepresidente, ma insiste sulla scelta di attaccare anche per la possibilità che trapeli la notizia di un rinvio (“e appariremmo indecisi”), suggerendo di spostare il messaggio esterno a proposito degli Houthi (aggiungendo: “Nessuno sa chi sono”) su due concetti chiave: “Biden ha fallito” nel contrastarli e “li sovvenziona l’Iran”. Dopo altri contributi in chat, Vance si arrende alle argomentazioni di Hegseth, ma con una goccia di veleno: “Se pensi che dobbiamo farlo, facciamolo. Solo che odio salvare ancora una volta l’Europa”. E il segretario alla Difesa gli concede: “Condivido il tuo disgusto per il parassitismo europeo”.

Il direttore della rivista The Atlantic, Jeffrey Goldberg

Di questi messaggi e vari altri, Goldberg ha pubblicato gli screenshot nel suo articolo, scritto dopo aver avuto dalla Casa Bianca la conferma che fosse tutto vero. Lui ne aveva ormai avuto la certezza dopo che, il 15 marzo, alle 11 e 44 nella chat è stato annunciato che il bombardamento sarebbe iniziato qualche ora dopo. Secondo il giornalista, alcune di quelle informazioni (di cui in un primo momento non ha rivelato il contenuto esatto), “se lette dagli avversari degli Stati Uniti, potrebbero essere utilizzate per colpire le forze armate americane e il personale dell’intelligence nel Medio Oriente”. C’erano in particolare “dettagli sull’imminente attacco in Yemen” e su “obiettivi militari, armamenti che gli Usa avrebbero utilizzato e sequenze d’attacco”. Qualcuno, nella chat, ha replicato a Hegseth con le emoticon della preghiera. Altri, a cose fatte, hanno aggiunto le classiche faccine sorridenti. Un paio d’ore dopo l’annuncio, dentro la sua auto nel parcheggio di un supermercato, Goldberg ha fatto una ricerca su X (l’ex Twitter) e ha avuto la conferma che era in corso il bombardamento nello Yemen.

La conferma della Casa Bianca

Se fosse una serie tv, questo sarebbe il momento in cui la vicenda si riannoda alla scena iniziale. Avuta la prova che si trattava davvero di una chat dell’amministrazione, Goldberg ha lasciato il gruppo (fino a quel momento, sottolinea, nessuno sembrava aver notato la sua presenza) e ha scritto a Waltz, Hegseth, Gabbard e altri che ne facevano parte. Chiedendo loro se fosse realmente una chat del Principals Committee, se lui vi fosse stato incluso di proposito o per errore, e se non ritenessero che la diffusione in quel canale di informazioni riservate potesse mettere in pericolo il personale americano militare e civile. Due ore dopo, un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale gli ha risposto confermando l’autenticità della conversazione e annunciando una verifica su come potesse esser stato aggiunto un numero non previsto. Anche il portavoce di Vance si è affrettato a contattare il giornalista per chiarire che il vicepresidente è in perfetta sintonia con Trump, a dispetto di quel che poteva apparire da alcune sue affermazioni in quella circostanza. Vari giuristi esperti di sicurezza nazionale hanno confermato a The Atlantic che quanto accaduto è totalmente al di fuori delle regole sulle comunicazioni riservate, e che è stata probabilmente violata la legge sullo spionaggio e i servizi segreti.

Quel che è successo dopo è storia nota: Trump e i suoi hanno cercato di minimizzare i fatti e ribaltato le accuse, e il presidente ha pure confermato l’accusa di parassitismo all’Europa. Come reazione, The Atlantic – anche per respingere l’insinuazione di aver detto il falso – ha pubblicato anche le parti della conversazione in precedenza omesse. Chi pensava che la polemica si spegnesse subito, ha sbagliato i suoi calcoli.

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