Si accettano scommesse: la vicenda della decadenza di Alessandra Todde – comunque vada a finire – diventerà un caso di studio nelle facoltà di Diritto. Perché è unica (non esiste il precedente di un presidente di Regione decaduto per irregolarità nelle spese elettorali) e solleva una vastità di problemi. Cosa confermata dalla mole di opinioni contrastanti che i vari studiosi hanno espresso sul caso.

Il dibattito tra giuristi, in realtà, si è già trasferito dalle interviste sui giornali alle pubblicazioni scientifiche: un primo confronto tra punti di vista differenti si è visto con i due saggi pubblicati il 12 marzo 2025 sulla rivista Federalismi.it, a firma di due docenti di Diritto costituzionale dell’Università di Cagliari. Quello di Giovanni Coinu ritiene inapplicabili al caso Todde le norme invocate per sostenere la decadenza della governatrice sarda, e considera in ogni caso sproporzionata la sanzione; invece Marco Betzu propende per l’applicabilità, aggiungendo però alcune riflessioni sul sistema elettorale presidenziale. Entrambi i contributi sono stati evocati e ampiamente citati dalle varie parti il 20 marzo, al tribunale civile di Cagliari, nella prima udienza sul ricorso presentato dai legali di Todde contro la decadenza e l’annessa sanzione pecuniaria.

Le due sanzioni sono state comminate dal Collegio elettorale di garanzia per le violazioni delle norme sulla trasparenza delle spese elettorali contenute nella legge statale 515 del 1993, richiamata – per la Sardegna – dalla legge regionale 1 del 1994. Il Collegio non ha dichiarato Alessandra Todde decaduta dalla carica di presidente della Regione, ma da quella di consigliera regionale; però, dato che per legge il governatore è anche consigliere, la perdita del posto in assemblea comporta anche quella della presidenza, con l’effetto che – se la decadenza fosse confermata dai giudici – si arriverebbe allo scioglimento dell’intero Consiglio e si tornerebbe alle urne.

La tesi del vuoto normativo

Il senso ultimo della tesi di Coinu è che non si possa giungere a questa clamorosa conseguenza, che porrebbe nel nulla un’intera competizione elettorale, applicando una legge nata quando ancora non esisteva il sistema presidenziale, e quindi neppure l’ipotesi dello scioglimento di un’intera assemblea. In effetti la legge 515 si riferisce ai parlamentari, ed è chiaro che la decadenza di uno di essi comporta solo il subentro del primo dei non eletti: persino se il parlamentare decaduto fosse il presidente del Consiglio, il ritorno alle urne non sarebbe obbligatorio.

I princìpi generali dello stato di diritto, ragiona il professore, “vietano categoricamente che chiunque possa essere sanzionato in assenza di una previsione di legge che punisca quel determinato soggetto e quel determinato comportamento”: ma una simile previsione, per i candidati governatori, non esiste. La legge regionale 1 si riferisce ai “candidati per il Consiglio regionale”. Ma, osserva Coinu, “chi si candida alla presidenza di una Regione non si sta candidando per essere eletto come consigliere regionale”: semmai lo diventa, di diritto, se vince la corsa alla presidenza. Le due competizioni però restano separate e con regole distinte (per modalità di voto, collegi elettorali e altro), tanto che la legge statutaria sarda del 2013 sulle elezioni vieta che un candidato presidente possa anche candidarsi in un singolo collegio elettorale. Anche la Corte costituzionale distingue tra i consiglieri eletti normalmente nei collegi e quelli che lo diventano di diritto.

La prima udienza al tribunale civile di Cagliari sul caso della decadenza di Alessandra Todde (foto Anedda)

La disciplina sulle spese elettorali, nota Coinu, si riferisce a una fase precedente al voto, quando non esiste ancora un presidente-consigliere, ma solo un candidato alla presidenza (e non al Consiglio). Il provvedimento del Collegio di garanzia, perciò, estendendo le norme al candidato presidente, realizzerebbe un’interpretazione analogica della legge, non consentita per sanzioni pesantemente afflittive come la decadenza da una carica elettiva. Ma se anche si dovesse ritenere applicabile l’attuale disciplina alla situazione di Alessandra Todde, aggiunge il docente, la sanzione della decadenza “dovrebbe comunque essere annullata per violazione del principio di proporzionalità tra condotta ed effetti della condanna”. Infatti la decadenza, “pensata dal legislatore per colpire i candidati al Consiglio regionale in una forma di governo regionale completamente diversa da quella odierna”, risulterebbe “evidentemente sproporzionata rispetto alla condotta per tale via esigibile dai candidati alla presidenza della Regione”.

L’altra opinione

Il ragionamento di Betzu riparte dalle argomentazioni a sostegno dell’inapplicabilità della legge 515 e della legge regionale 1, ma senza condividerle. Proprio perché la legge elettorale sarda del 2013 prevede che facciano parte del Consiglio il governatore eletto e il candidato presidente che arriva secondo, “candidarsi alla presidenza della Regione significa, allora, anche candidarsi a far parte del Consiglio regionale”. Perciò “applicare ai candidati presidenti la disciplina propria dei candidati consiglieri” non costituirebbe un’interpretazione analogica (non consentita perché “creatrice” di una norma nuova), ma estensiva: quindi legittima, perché si limiterebbe ad ampliare l’ambito di operatività della stessa norma. D’altra parte, sottolinea Betzu, da quando esiste l’elezione diretta del presidente (2004), tutti i candidati governatori hanno osservato la disciplina delle spese elettorali, presupponendo dunque che si applicasse anche alla loro condizione.

Non regge neppure l’argomento del diverso sistema di elezione del Consiglio e del presidente, secondo il professore cagliaritano, perché in realtà le due votazioni sono contestuali e strettamente correlate, tanto che una coalizione ottiene più seggi se il suo candidato governatore batte i concorrenti.

Infine non ci sarebbe nessun difetto di proporzionalità nella sanzione della decadenza, né “alcuna violazione del principio democratico di sovranità popolare”. Le leggi sulla trasparenza delle spese elettorali sono “volte a soddisfare interessi di rango costituzionale, primo fra tutti la libertà del voto”, evitando condizionamenti indebiti. Il fatto poi che dalla decadenza del consigliere-presidente discenda lo scioglimento dell’intero Consiglio “non è conseguenza di una sproporzione estrinseca” della sanzione, ma dell’opzione del legislatore per un sistema presidenziale puro, che non prevede mai la possibilità di sostituire, senza interrompere la legislatura (“simul stabunt, simul cadent”), un governatore colpito da sfiducia, o da impedimento, o appunto da decadenza. L’articolo di Betzu si conclude perciò con un’analisi di questo meccanismo, diffuso in quasi tutte le regioni, che “ha decretato notevoli rigidità strutturali, svuotando di senso la democrazia rappresentativa e soppiantandola in larga parte con una democrazia di investitura, basata sul fascino della verticalizzazione del potere”.

La prima udienza sul ricorso di Alessandra Todde non ha permesso, a chi ha assistito, di farsi un’idea su ciò che deciderà il tribunale civile. Resta in piedi anche la possibilità che i giudici si pronuncino solo sulla sanzione amministrativa da 40mila euro comminata alla presidente, e non sulla decadenza. Di certo, la questione dell’applicabilità al caso Todde delle regole sulle spese elettorali è centrale: se prevarrà la tesi che la esclude, la decadenza sarà scongiurata. In caso contrario, la fine anticipata della legislatura sarà molto più vicina.

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