Basta ascoltare le prime note che viene voglia di tirare su il volume a palla e di ballare. Anche 50 anni dopo, Born to Run, un disco nato per correre, è roba per precursori. L’album della consacrazione per Bruce Springsteen, il successo che lo fece diventare il Boss: 14 mesi di lavoro, di cui sei solo per la canzone che dà il titolo all’album. Quando il Boss non era ancora il Boss, Springsteen è a un bivio: piaceva alla critica ma vendeva pochissimo. Poi il primo settembre 1975, arrivava nei negozi Born to Run. Lui è diventato il Boss, la nostra vita è cambiata. Da cinquant’anni.

“C’è sempre un posto migliore dove fuggire, il punto è semplicemente correre”, recita un passaggio del testo. Corre veloce Springsteen,e lo fa prendendo il sogno americano e facendolo a brandelli: la crisi economica, il watergate, il Vietnam. Il figlio delle working class porta la classe operaia in paradiso. Dentro, a parte la titletrack, canzone-simbolo dell’intera carriera di Springsteen, ci sono Thunder road (ballata epica e romantica che apre l’album), Backstreets, Jungleland, Tenth Avenue freeze-out (infusa di soul). Sono storie d’America, un Paese al buio, raccontate da un narratore che da sempre regala speranze. Born to Run è il rock and roll. Fatto di melodie trascinanti, di malinconia, di vita reale. C’è il sogno,dentro, c’è la ribellione, c’è la ricerca della libertà.

Poche cose, nel racconto che Springsteen ha sempre fatto di sé, sono commoventi come la storia di lui seduto sul letto della sua casa presa in affitto nel New Jersey mentre comincia a scrivere Born to Run, un “pezzo” ispirato da una storia tra un ragazzo e una ragazza nati per correre e per inseguire i loro sogni, costi quel che costi. La prima versione voleva buttarla nel cestino ma l'album esce ed è l'inizio della nuova storia, quella del Boss. Il successo è anche nella foto di copertina che è diventata subito un’icona: Springsteen, allora ventiseienne, fisico asciutto, capelli arruffati, con la sua Fender al collo, appoggiato alla spalla di Clarence Clemons. Nel 1975, in un’America attraversata dal razzismo quell’immagine era un manifesto. Oggi, lo è ancora.

In poche settimane l’album salì sul podio delle classifiche e cambiò per sempre la vita di Bruce Springsteen. E anche la nostra. Perché ogni volta che si sente Born to Run viene voglia di sollevare il volume a palla: e cantare quel ritornello “…we were born to run”. E così da cinquant’anni. Perché è tutto e molto di più Bruce Springsteen: un musicista, un padre, un religioso, un numero uno. Un Boss, appunto.

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