La mattina del 21 febbraio 1814 un uomo vestito da ufficiale diffuse a Dover, in Inghilterra, la notizia della morte di Napoleone. Dirigendosi a cavallo verso Londra, di locanda in locanda condivise la notizia, che a macchia d’olio si diffuse tra la popolazione inglese, fino a provocare un forte scossone nella Borsa londinese. Solo dopo molte ore il Governo inglese sancì la falsità di questa notizia.

Le false notizie (“fake news”) fanno parte della storia umana. Negli ultimi anni sono cambiati i mezzi di diffusione e la loro velocità. Grazie alla rete e ai social media, una falsa informazione con un click si mette in viaggio verso migliaia di persone che, con la loro condivisione, diventano milioni in pochi secondi. I temi della salute sono un terreno fertile in tal senso, toccando le fragilità dei pazienti e dei loro familiari e favoriti dalle difficoltà nella comunicazione tra pazienti e medici, legata per molti secoli all’etica medica paternalistica, in cui il medico era il detentore unico del sapere e il paziente il fruitore delle sue competenze. La situazione cambiò nel 1973, quando venne pubblicata la Carta dei diritti del paziente, in cui si sanciva il suo diritto ad essere informato reso e partecipe delle decisioni terapeutiche che lo riguardavano. Nell’ultimo ventennio l’innovazione digitale ha cambiato la vita dei pazienti, la gestione della malattia e il rapporto medico-paziente.

Nel 2019 sono stati pubblicati i risultati di un’indagine dell’Istituto Negri di Milano: Internet è un punto di riferimento per 3 malati oncologici su 4, che utilizzano quasi tutti Google come motore di ricerca, ma sono poi i siti web istituzionali (società scientifiche, istituzioni sanitarie ed associazioni di pazienti) a riscuotere maggior affidabilità, mentre i social network hanno scarso credito. 1 paziente oncologico su 3 utilizza almeno un’app dedicata alla salute, mentre 6 pazienti su 10 utilizzano strumenti avanzati di comunicazione nel rapporto con il medico (WhatsApp e mail in testa). Chi ha un tumore cerca online informazioni sui sintomi (56%), sui centri di cura e sui medici (50%), sui trattamenti prescritti dall’oncologo (46%) e sugli stili di vita (43%). Di contro i medici non riescono a gestire questo fenomeno: appena il 5% dei pazienti ha ricevuto dal proprio oncologo un consiglio su dove approfondire tematiche legate alla propria salute.

In questo contesto il ruolo di Internet è controverso: da una parte offre numerose informazioni che possono aiutare cittadini e pazienti ad aumentare le proprie conoscenze, dall’altra contribuisce ad aumentare la confusione su determinate tematiche di salute.

Uno studio recente pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute ha analizzato 200 articoli riportati sui social sui tumori più frequenti. E’ risultato che circa nel 30% dei casi sono riportate informazioni false e dannose, che possono indurre a posticipare o, addirittura, a non seguire terapie salvavita, a ricorrere a metodi “fai da te” basati su prodotti potenzialmente tossici o all’utilizzo di alternative prive di validità scientifica.

Le notizie false sul cancro sono troppe: da terapie non dimostrate come lo Zenzero, definito 10mila volte più efficace della chemioterapia, e l’Artemisia Aunna, ritenuta in grado di distruggere in 16 ore il 98% delle cellule tumorali, fino all’idea che le aziende farmaceutiche nascondano la cura definitiva contro i tumori. Queste bufale possono avere effetti dirompenti sui pazienti, così come le notizie diffuse precocemente su terapie innovative, ancora sperimentali, che possono ingenerare pericolose illusioni, perché non sempre mantengono le promesse nella pratica clinica. E’ indispensabile un grande sforzo da parte degli oncologi e dei professionisti dell’informazione, comunicando questi temi in modo corretto e scientificamente rigoroso, usando, pur nella loro complessità, un linguaggio semplice.

Daniele Farci

© Riproduzione riservata