Si può vivere con un intestino corto, cioè più piccolo del normale? Quali sono le cure e i trattamenti medici necessari? A chi ci si deve rivolgere per ottenerli? A queste domande potrebbero rispondere appena un migliaio di persone che in Italia. Tra loro ci sono anche un centinaio di bambini.

Sindrome dell'intestino corto, la chiamano, una malattia che accorcia l'intestino nei bambini fino a 50 centimetri, 60-70 centimetri negli adulti, e obbliga chi viene colpito a vivere appesi a un filo, quello che consente di infondere nelle vene le sostanze nutritive necessarie a mantenere lo stato di salute.

"Si tratta di una patologia che o per motivi congeniti, soprattutto in pediatria, o a seguito di resezione chirurgica, più tipico nell'adulto, determina una mancanza di una parte dell'intestino e crea problemi nutrizionali rilevanti", spiega Paolo Moi, direttore della Seconda clinica pediatrica dell'ospedale Microcitemico Antonio Cao di Cagliari.

ANNA - Una riduzione della funzione intestinale che non riesce più a svolgere il suo compito primario, ovvero nutrire l'organismo, rischia di mettere in pericolo la vita delle persone colpite. Per loro, infatti, diventa determinate la nutrizione artificiale. Un trattamento salvavita che, purtroppo, viene ancora considerato un supporto e non un vero e proprio protocollo medico. L'allarme lanciato dall'associazione nazionale nutriti artificialmente (Anna) è stato raccolto dalla Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (Sinpe) che per il 10 novembre al Microcitemico di Cagliari ha organizzato un incontro con specialisti, operatori sanitari e istituzioni, dal titolo "La nutrizione artificiale nella Sic".

"Accogliendo la richiesta dell'associazione, abbiamo deciso di scendere in campo con un'iniziativa che rappresenta il primo evento che mira a sensibilizzare su questa patologia nell'Isola", spiega Salvatore Murru, dirigente medico di Anestesia e Rianimazione all'ospedale Marino di Cagliari, e segretario regionale della Sinpe.

"In Sardegna ci sono tanti pazienti con questa patologia che sono inseriti in nutrizione parenterale», ovvero la somministrazione di nutrienti direttamente per via venosa, scavalcando l'apparato digerente, «e per quanto siano seguiti dalle cure domiciliari non hanno un coordinamento", aggiunge. Il problema, quindi, è la mancanza di una rete. "L'obiettivo del convegno è la creazione di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale ritagliato sulla nutrizione artificiale, che segua il paziente dall'ingresso in ospedale sino al follow-up".

TERAPIA - Contro l'intestino corto, la terapia ha due obiettivi: essere salvavita e favorire la riabilitazione socio-lavorativa del paziente. La terapia salvavita può essere la nutrizione parenterale o quella enterale. "La entrale è quella che prediligiamo perché rispetta la funzionalità intestinale e si sceglie ogni qualvolta si debba fare una nutrizione in cui l'intestino funziona e c'è l'assorbimento normale", spiega il dottor Murru.

In generale, la terapia, parenterale o enterale che sia, sostituisce la funzione intestinale persa. Per questo motivo, punto fondamentale della lotta alla malnutrizione è garantire la continuità assistenziale per il paziente tra l'ospedale e il territorio.

"In Sardegna esistono delle realtà che funzionano, il problema è che i pazienti, ma spesso anche gli operatori sanitari, non ne sono a conoscenza", afferma Alessandra Rivella, presidente di Anna, l'associazione nazionale di nutrizionale artificiale. "Non esistono percorsi strutturati sulla multidisciplinarietà, e questa è la prima lacuna da colmare".

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