Gli ultimi minuti della campagna elettorale sono tutti all'attacco. È tempo degli ultimi appelli, e gli aspiranti governatori li hanno lanciati davanti alle telecamere di Videolina, ieri sera alla trasmissione Monitor, condotta da Nicola Scano.

Si sono presentati in sei, Christian Solinas ha declinato "per via di impegni concomitanti presi in precedenza", ovvero gli appuntamenti insieme all'alleato Matteo Salvini, in tour nel sud dell'Isola.

La sua assenza diventa un'arma nelle mani di Massimo Zedda (centrosinistra), che parla di "candidato senza volto" e agita un'ipotetica vittoria del centrodestra come uno spettro: "Rischiamo che il governo della Sardegna non sia in grado di aprire uno scontro con Roma. La Sardegna ha pochi abitanti ma viene vista come una opportunità di speculazione. C'è il rischio di una Giunta eterodiretta", dice riferendosi anche all'attenzione dei big nazionali dei partiti per la campagna sarda.

È innegabile che l'Isola si sia trasformata in un laboratorio politico.

Paolo Maninchedda (Partito dei Sardi), da indipendentista, vorrebbe una svolta più radicale rispetto agli altri: "Intendiamo cambiare il sistema dei poteri dello Stato, perché quello attuale opprime la Sardegna. Non è vero che noi non possiamo permetterci di essere autonomi, che non riusciremmo a pagare le pensioni. Abbiamo la possibilità di produrre la ricchezza che ci serve, solo che ora è ostacolata dal fisco".

Dalle storture dell'erario al dibattito sull'autonomia, che presto aumenterà per Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, il passo è assai breve: "L'Italia verrà divisa in tre: il nord, il sud e la Sardegna. Deve esserci una differenziazione tra le regioni speciali e quelle a statuto ordinario, altrimenti i forti diventeranno sempre più forti e i deboli sempre più deboli. Bisogna aprire gli occhi e combattere", attacca Mauro Pili (Sardi liberi). Il nuovo assetto regionale fa paura anche a Francesco Desogus (Movimento 5 Stelle), che in teoria dovrebbe essere più indulgente verso il governo centrale: "«Preoccupa anche noi, può arrivare a mettere in discussione l'unità nazionale. Sappiamo che è una voce del contratto (tra Lega e M5S) e spero che ci sia molta attenzione da parte dei nostri portavoce. C'è chi vuole arrivare a una separazione tra le regioni, almeno dal punto di vista economico. Sarebbe un male: quello che noi versiamo non basta per tenere in piedi pensioni e assegni sociali".

Vindice Lecis (Sinistra sarda) punta tutto sul lavoro: "Con la disoccupazione che c'è bisogna chiedere il concorso dello Stato e aumentare le nostre risorse dedicate a questo tema. Vogliamo che si intervenga sul riassetto idrogeologico e sull'utilizzo dei beni culturali: solo così si potrà ottenere lavoro qualificato, stabile e equamente retribuito. Il piano Lavoras, della Giunta uscente, non basta: stage pagati due o trecento euro non servono a nulla. Con noi la Sardegna tornerà ad avere una rappresentanza di sinistra che rimetta al centro lavoratrici e lavoratori".

L'unico a parlare in sardo nel corso del dibattito televisivo è Andrea Murgia, che sceglie di chiudere in limba l'appello finale al voto. Il candidato di Autodeterminatzione crede che la svolta passi dall'Europa e dal rientro dell'Isola nell'Obiettivo 1, ovvero più risorse per le regioni più povere: "Sul piano europeo arriveranno tanti soldi, se li sapremo negoziare. Ora la Regione spende mezzo miliardo di fondi Ue all'anno. Quando sarò presidente ne spenderemo un miliardo e mezzo, che andranno in investimenti per le imprese e per recuperare il gap infrastrutturale", dice prima che cali il sipario sull'ultimo confronto tra i candidati.

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