Nei giorni scorsi, stando a quanto si è appreso dagli organi di stampa, si sono svolti i lavori della Commissione Coesione Territoriale e Bilancio dell’Unione Europea del Comitato delle Regioni e Christian Solinas, quale presidente della Regione Sardegna, e membro titolare, avrebbe sentito approvare taluni suoi emendamenti sulla attuazione del principio di insularità.

Siffatti emendamenti avrebbero ad oggetto il “rafforzamento” della “dimensione territoriale della politica di coesione, a favore di una maggiore convergenza dei territori che permetta di superare gli svantaggi strutturali permanenti legati all’insularità”. E tra gli obiettivi da raggiungere vi sarebbe l’adozione, da parte della Commissione Europea, di una strategia dedicata alle Isole da attuarsi attraverso una raccolta sistematica di dati territoriali aggregati che possa costituire da fattore prodromico ad un approccio specifico per le regioni cosiddette insulari.

Ebbene. A parte la considerazione che, anche a voler prescindere dalle iniziative intraprese financo da questo Governo Regionale, da anni oramai si cerca di perseguire il giusto “allineamento” sul piano dei diritti e, se così si può dire, tra le regioni insulari europee, nulla quaestio: se l’iniziativa, di fatto, e intendiamoci sul punto, riuscirà a materializzarsi in interventi concreti e risolutivi, idonei cioè a porre nel nulla qualsivoglia criticità in ragione del rilievo che, proprio le politiche di coesione della Unione Europea, sarebbero dirette, quanto meno sul piano della carta, sia a ridurre le disparità di sviluppo fra le regioni degli Stati Membri, sia a rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale utile a garantire una crescita sostenibile e, per quanto maggiormente possibile, inclusiva.

E se è vero, come è vero, che siffatto indirizzo politico “unionale” debba prestare una attenzione privilegiata a tutte quelle realtà che presentino gravi e permanenti svantaggi naturali e demografici, quale appunto la realtà sarda, tuttavia, ad oggi, in ambito europeo, e probabilmente non solo in quello, parrebbe essere mancata, sul piano pratico, una qualche iniziativa potenzialmente e fattivamente diretta a colmare le differenti ragioni di svantaggio. Probabilmente sarebbe necessario, ancor prima che opportuno, coinvolgere, proprio sul piano fattivo, e in maniera ancora più incisiva, il Parlamento siccome, quest’ultimo, diversamente da quanto si sarebbe probabilmente indotti a ritenere, è chiamato a svolgere un ruolo piuttosto attivo ed incisivo proprio nel sostenere le ragioni del rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale dell'Unione Europea, se solo si considera che  tutta la legislazione riguardante la politica di coesione medesima e i Fondi strutturali sarebbe, come di fatto è, predisposta, e prima ancora elaborata, mediante la procedura legislativa ordinaria, nel contesto della quale i poteri del Parlamento (e la cosa è tutt’altro che da sottovalutare) risultano parificati a quelli del Consiglio, con ogni conseguenza rilevante sul piano decisionale.

Intanto, perché ogni iniziativa inerente l’attuazione del concetto di insularità andrebbe correttamente inserita nell’ambito dell’Accordo di Partenariato Ue/Italia approvato il 19 luglio 2022, il quale, invero, avrebbe dovuto definire, come di fatto parrebbe aver definito, l’impianto strategico e la predisposizione sistematica degli obiettivi di intervento su cui andranno di fatto a concentrarsi gli interventi predisposti dai Fondi Europei per la Coesione.

Quindi, perché, per quanto è dato sapere, l’“Accordo di Partenariato”, rinvenirebbe la propria ragione fondante sul conseguimento di ben cinque “Obiettivi”, per così dire strategici, volti a definire i contorni: 1) di una Europa maggiormente competitiva attraverso la promozione di ogni iniziativa diretta a condurre una trasformazione economica in senso innovativo e concorrenziale; 2) di una Europa più “green” attraverso la promozione di una transizione verso un’energia pulita ed equa; 3) di una Europa maggiormente “connessa” attraverso il rafforzamento della mobilità e della connettività regionale; 4) di una Europa volutamente sociale e inclusiva, da conseguirsi mediante la valorizzazione, e conseguente attuazione, del Pilastro Europeo dei diritti sociali; 5) di una Europa più vicina ai cittadini attraverso la promozione della crescita integrata delle aree urbane, rurali e costiere e delle iniziative locali.

Obiettivi senz’altro ambiziosi all’attualità per non essersi pienamente realizzati (perlomeno tale sarebbe la impressione che se ne ritrae), ma, tutto sommato, ordinari sul piano degli effetti, i quali, di conseguenza, lungi dal porsi sul piano della eccezionalità, avrebbero fin da subito dovuto rappresentare la normalità. Il tempo consentirà di apprezzare il modo in cui gli emendamenti del presidente Solinas approvati da ultimo saranno inseriti nel programma di sviluppo delle realtà insulari per riuscire poi a rinvenire la metodologia di attuazione nel concreto, ossia sul piano geografico territoriale.

Dicendolo altrimenti: discorrere in termini di coesione può apparire semplice, ma è quando si debba superare il piano dialogico e discorsivo per passare a quello attuativo che si rilevano tutte le criticità stringenti, e, probabilmente, le ragioni del confronto, dovrebbero piuttosto concentrarsi più che sulla “esigenza” da conseguire, ossia la coesione tra territori, sulle “modalità” utili al superamento dei fattori impedienti giacché la “necessità” è nota, mentre il “modus operandi” per la sua attuazione pronta e responsabile probabilmente ancora non appare correttamente definito. E, se essere massimamente europeisti è doveroso, essere sardo/europeisti dovrebbe forse essere quasi un imperativo se idealizzato nell’ottica dell’ottenimento di un maggiore potere di rappresentanza e di intervento della Regione Sardegna nelle dinamiche decisionali europee.

Dicendolo altrimenti, e più chiaramente, l’obiettivo per la Sardegna dovrebbe essere duplice quantomeno a: conseguire la istituzione del collegio unico della Sardegna per le elezioni europee di modo tale da “scollegare” (si passi l’espressione colloquiale) la realtà sarda dalle dinamiche maggiormente incisive del collegio siciliano; realizzare l’esigenza di garantire la rappresentatività della Sardegna in seno al Parlamento Europeo, varie volte preclusa dalla prevalenza siciliana, senza nulla voler togliere ai siciliani medesimi.

Sarebbe allora opportuno, e pur sempre, prendere le mosse da una constatazione di fondo al di là di ogni buon proposito quale parrebbe essersi da ultimo sostanziato con gli emendamenti di recente approvazione: la situazione sociale ed economica sarda derivante dalla discontinuità territoriale con la penisola italiana e con il resto del continente europeo non pare essere stata a tutt’oggi superata proprio nel contesto di quello che avrebbe dovuto qualificarsi quale processo di integrazione europea, per essere mancata, sia pure non si veda come, la predisposizione di ogni doverosa iniziativa comunitaria in tal senso. Laddove ancora non fosse sufficientemente chiaro, sembrerebbe che la stessa autonomia regionale, fino ad ora mortificata nelle sue potenzialità espressive, potrebbe addirittura trovare il suo punto di snodo e di attuazione proprio in ambito europeo, all’interno del quale, a ben considerare, e quanto meno sul piano normativo, si sarebbe predisposti a conseguire ogni utile riconoscimento degli svantaggi permanenti e strutturali delle regioni insulari. Il destino dell’Isola potrebbe essere da decidersi “oggi” e non parrebbe esservi ulteriore tempo da lasciar trascorrere nell’inerzia.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato – Nuoro)

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