Mezza Sardegna senza medici di famiglia nei prossimi cinque anni. Il grido d’allarme è del segretario regionale dello Smi (Sindacato Medici Italiani) Luciano Congiu.

I tagli alla sanità porteranno a una consistente riduzione dei medici di base nell’Isola e nell’intera Italia. Una vera e propria emergenza: «Già oggi – osserva Congiu – moltissimi cittadini sardi subiscono le conseguenze pesanti di una carenza di medici di medicina generale che interessa diverse aree dell’Isola».

Ma la situazione è destinata a peggiorare. L’Osservatorio Conti Pubblici italiani ha infatti redatto uno studio nazionale e per regioni. Lo scenario per l’Isola vede entro la fine del 2028 l’uscita per pensionamento di 719 medici, mentre i nuovi dovrebbero essere solo 70. Un passivo di 649 unità che si inserisce in una situazione già di per sé critica.

«Il numero di medici attualmente operanti in Sardegna – spiega Congiu – è di poco meno di mille, a fronte di 1,4 milioni di abitanti in età non pediatrica. Per cui andranno via più della metà dei medici di famiglia attualmente impegnati e non saranno sostituiti da nuovi medici, perché questi ultimi stanno scegliendo sempre più spesso altri tipi di impiego con migliori condizioni di lavoro».

Insomma, «se questa tendenza non verrà invertita con politiche serie ed efficaci – è l’avvertimento – almeno metà della popolazione sarda rimarrà senza un medico di famiglia».

Una prospettiva drammatica, che potrebbe portare alla fine della medicina di prossimità e all’inizio di politiche di vera e propria privatizzazione. Il sindacalista fa l’esempio del Veneto: «In provincia di Padova si affrontano le carenze con con scelte di sostegno alla professione, ma con l’impiego di medici di famiglia di società sanitarie private, con un costo medio di 50 euro a visita per i pazienti».

A questo, continua Congiu, si è arrivati con le politiche sanitarie degli ultimi 20 anni di tagli lineari (37 miliardi in un decenni) consistiti soprattutto in riduzione di personale. Finora un argine l’hanno posto «il lavoro e il sacrificio dei professionisti», ma non è più rinviabile «una nuova stagione di investimenti per la sanità pubblica».

In un quadro già fosco, conclude il sindacalista, si inserisce il progetto di autonomia differenziata. Le maggiori autonomie nel settore sanità, richieste dalle Regioni con le migliori performance, «non potranno che amplificare le diseguaglianze e legittimare il divario tra Nord e Sud».

(Unioneonline/L)

© Riproduzione riservata