A distanza di qualche giorno dall’assoluzione di tutti i protagonisti del caso “aste”, gli avvocati del Foro di Tempio, per la prima volta, prendono posizione, con una nota, sulla vicenda che ha colpito duramente il sistema giustizia in Gallura.

Nella nota del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Tempio Pausania si legge: «Le sentenze non si commentano, si è soliti sentire, si rispettano e nel caso si impugnano. Noi avvocati siamo costituzionalmente consapevoli delle imperfezioni della giustizia cercata nei tribunali, chi meglio di noi? Sappiamo che la giustizia umana è fallace, per definizione, e il nostro lavoro è quello di smussare gli angoli, di lavorare incessantemente verso un obiettivo concreto, che è quello di avvicinarsi il più possibile ad una verità impossibile da ricostruire appieno. Per questo evitiamo, di solito, di commentare le sentenze, che sono un perfetto specchio della società, delle sue miserie, della sua  umanità, sia che le si legga con gli occhi dell’imputato, sia che le si affronti con lo sguardo del tecnico, magistrato o avvocato che sia. E tuttavia questa volta, noi avvocati galluresi abbiamo deciso di fare un’eccezione e di spendere qualche parola per commentare la sentenza che ha visto assolti il dott. Alessandro Di Giacomo, la dott.ssa Elisabetta Carta, già magistrati del Tribunale di Tempio, gli avvocati Giuliano Frau e Tomasina Amadori, il dott. Ermanno Giua e prima di loro, nel medesimo processo, il dott. Francesco Mazzaroppi, la dott.ssa Gemma Cucca, ex presidenti, la dott.ssa Francesca Debidda e il sig. Maurizio Fara, cancellieri dello stesso Tribunale. Perché il processo appena conclusosi a Roma ha scritto l’ultima pagina di una vicenda molto diversa dalle altre che quotidianamente affrontiamo. Una vicenda in cui, assieme agli uomini e alle donne coinvolte direttamente nel giudizio (o meglio, nei giudizi, considerando anche quello che ha visto imputato, poi condannato ed infine assolto il dott. Vincenzo Cristiano), è stato individuato “un sistema” gallurese. Un sistema di malaffare, è stato definito, di consorteria opaca tra Giudici, Avvocati, Cancellieri e persino consulenti tecnici: tutti assieme per aggirare le regole, per piegare l’interpretazione, per favorire amici e parenti a discapito della Giustizia, quella vera, lasciata bendata come nell’iconografia classica. La sentenza del Tribunale di Roma, ultima in ordine di tempo, ha ancora una volta certificato (salvo impugnazioni rese assai improbabili dal fatto che la stessa Procura della Repubblica aveva sollecitato le assoluzioni pronunciate in aula) che quel sistema non c’era. Che i Magistrati, gli Avvocati, i Cancellieri del Tribunale di Tempio avevano semplicemente fatto il loro lavoro: imperfetto, forse, fallace e perfettibile, certamente, ma onesto. Ha certificato che quel Tribunale, che prima di questa lunga e tortuosa vicenda funzionava, e bene, tra le mille difficoltà che resistono tuttora ed era un esempio di efficienza e buona volontà, è stato smantellato senza motivo; che è diventato paria tra gli uffici giudiziari, sconsigliato come sede di approdo ai giovani magistrati, per ragioni ed episodi che non sussistevano e che comunque non costituivano reati. La sentenza ha reso giustizia a persone perbene che, come i tantissimi cittadini che ogni giorno affollano i nostri tribunali, sono state già afflitte da pene terribili: un processo durato più di sei anni, la gogna mediatica, il giudizio sommario e lo strascico del sospetto che rimarrà oltre il giudicato. Se è vero che ogni assoluzione conferma che il sistema giudiziario, in qualche modo, ha perseguito il proprio scopo, è anche vero che ogni conclusione di questo genere dovrebbe essere un’occasione per ripensare alcuni tra i meccanismi fondamentali della giurisdizione, cosicché il processo possa essere uno strumento neutro di giudizio e non una pena da cui non si possa avere scampo». 

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