L’Andrea Doria, la corazzata di Stato, intravvede il molo di via Roma, nel vecchio Porto di Cagliari, quando le lancette dell’orologio del Quirinale segnano le 8.30 del 26 ottobre 1951. Le cronache manoscritte sugli appunti presidenziali raccontano che meno di un’ora dopo, il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, e la sua consorte, sbarcano nell’Isola di Sardegna. Ad accoglierli ci sono un futuro Capo di Stato, l’allora Ministro dell’Agricoltura Antonio Segni, il Presidente della Regione sarda, nominativamente “Autonoma” e “Speciale”, Luigi Crespellani, prefetti, generali, commissari, consiglieri regionali, provinciali e comunali. Di tutto e di più. La cronaca è narrata come una visita “pastorale” nelle retrovie dello Stato di Roma, quello sbarcato in terra sarda dopo una catastrofica alluvione che ha devastato paesi e campagne, da Muravera a San Vito, passando per Villaputzu.

Elemosine di Stato

Come scandisce anche la storia di questo fugace passaggio di Stato sulle scomposte mulattiere dell’Isola, le popolazioni, seppur devastate dall’incedere dell’ennesima nefasta calamità, «tributano calorose accoglienze al Capo dello Stato». Il racconto che ne fa lo scribacchino di Palazzo è roba da apparato ancora monarchico: «Il corteo delle auto – vergano i manoscritti - si sofferma nel Comune di Muravera. Il Presidente della Repubblica e la Signora Einaudi vengono accolti con cordiali manifestazioni dalla popolazione schierata lungo la strada principale del paese». La velina del Quirinale, diligentemente conservata negli Archivi di Stato, è prolissa nei dettagli sino a svelare per la storia «la commossa riconoscenza dei sinistrati» ripagati – scrive l’intrepido biografo di corte- «con una copiosa distribuzione di coperte, di indumenti vari e cospicue somme di denaro». L’incedere della magnificenza “solidale” svetta quando il Capo dello Stato e la consorte giungono a San Vito. Negli annali del Quirinale si legge: «L'intera popolazione di questo Comune si trova radunata sulla piazza del paese e accoglie il Presidente con un caldo e affettuoso applauso. La Signora Einaudi distribuisce ai bambini cioccolato mentre il Presidente fa distribuire indumenti e somme di danaro».

Strade impraticabili

Non c’è più tempo, racconta la storia: «Le persistenti piogge hanno reso impraticabili le strade che conducono nel Nuorese». Poco prima delle quattordici il corteo presidenziale è di rientro sull’Andrea Doria dove, secondo i racconti di apparato, si consuma «una colazione intima». Prima di lasciare l’orizzonte il Capo dello Stato si congeda con un “radiomessaggio”, tanto istituzionale quanto retorico: «Avrei desiderato che la mia visita alla zone alluvionate si fosse potuta concludere solo dopo la effettiva presa di contatto con tutti i centri colpiti. Purtroppo le permanenti interruzioni nei collegamenti mi hanno invece costretto a limitare il mio programma ed io sto per lasciare l'isola». Strade inagibili per le zone interne, qualche ora sulla presidenziale Lancia Aurelia B12, costretta alle mulattiere sarde piuttosto che alle agevoli vie consolari romane, cospicue somme di denaro elargite come carità di Stato e persino i cioccolatini di Palazzo. Tutta qui, la visita “pastorale” di Luigi Einaudi, il Capo dello Stato, in Sardegna.

Bestia nera dell’Isola

Non sarà, però, questa toccata e fuga nell’Isola, inspiegabilmente “acclamata”, a scolpire il suo nome nella storia di questa bistrattata terra di confine. Di lui si è detto tanto, arcigno e severo, beffardo e irruento, economista di fama mondiale, rigoroso e statalista sino al midollo. Einaudi, all’anagrafe Luigi Numa Lorenzo, prima di diventare il secondo Presidente della Repubblica italiana, è stato il Ministro delle Finanze e del Tesoro del quarto governo di Alcide De Gasperi, manco a farlo apposta, quello in carica per il varo dello Statuto Autonomo della Sardegna. È qui che quel banchiere fattosi Capo dello Stato segna in maniera indissolubile le sorti della Carta costituzionale sarda. La rilettura postuma di quei passaggi “costituenti” non potrebbero in alcun modo risparmiargli l’appellativo di “bestia nera” dell’Autonomia sarda.

L’ora dei soldi

I rintocchi del campanile di Montecitorio non hanno ancora battuto le sei di sera. È il 28 gennaio del 1948 quando la mano destra del Ministro del Bilancio, vice Presidente del Consiglio dei Ministri, chiede la parola durante una seduta gremita dell’Assemblea Costituente. In discussione è appena giunto l’art. 8 del futuro Statuto della Regione Sarda. Non un articolo qualunque, ma il cuore della legge, il “portafoglio” della futura Autonomia. In quell’articolo si disciplinano i trasferimenti dello Stato alla Regione Speciale, si stabiliscono le percentuali con le quali lo Stato dovrà restituire alla Sardegna le somme incassate dal pagamento delle tasse sul territorio dell’isola. Quando Einaudi, il Ministro più potente del governo De Gasperi, prende la parola in molti percepiscono che l’inverno disperatamente temuto da Lussu sta per calare sullo Statuto della Sardegna. È l’incipit del capo dei conti pubblici a far capire che le temperature stanno per calare vertiginosamente. La parola al Ministro Einaudi: «Io sento il dovere, onorevoli colleghi, di prendere la parola su questo articolo 8, per manifestare le gravi preoccupazioni che la sua dizione fa sorgere in me a proposito del bilancio dello Stato e del suo equilibrio». L’intervento è articolato, tutto proteso a smontare alla radice le pretese contenute nella proposta di Statuto, quello, per intenderci, molto più tenue, nei poteri e nei trasferimenti, rispetto a quello siciliano che Lussu avrebbe voluto far proprio per la Sardegna. Lo smonta pezzo per pezzo, ignorando in tutto e per tutto le peculiarità dell’Isola, evocando il disastro finanziario statale se mai passasse il concetto che le tasse escusse nell’Isola dovessero restare nella disponibilità della neonata Regione. Lo dice apertis verbis: «Ha maggiore importanza, dal punto di vista del bilancio dello Stato, questo fatto fondamentale: che, in sostanza, allo Stato ben poco rimane». Perde totalmente la trebisonda quando intravede la possibilità che lo Statuto sardo faccia incassare alla Regione le tasse su quanto prodotto in Sardegna.

Il gelo di Einaudi

In pratica, secondo Einaudi, sarebbe una follia lasciare ai sardi, coloro che qualche anno dopo lo acclamarono in giro per l’Isola, quelle imposte di ricchezza mobile. È un tema cruciale, visto che gran parte delle imprese insediate o in procinto di farlo, vedi la Saras, avevano la residenza fiscale fuori dall’Isola. Einaudi conclude, la sua posizione è senza appello: «non si può fare». È il gelo sulla Sardegna. Ma non è finita. Poco dopo richiede la parola: «Chiedo che tutto il Titolo finanziario di questa legge costituzionale sia rinviato». Emilio Lussu chiede la parola e si rivolge direttamente al “maestro” Einaudi. Non usa mezze parole: non è una questione contabile, il riequilibrio è una partita politica e sostanziale. Impossibile per Lussu considerare l’Isola di Sardegna alla stregua di qualsiasi altra regione. E non glielo manda a dire: «Questi problemi, illustre onorevole maestro Einaudi, si sbaglia se si affrontano con criteri puramente tecnici e scientifici, si rischia di andare incontro a delle situazioni, che io non chiamo tragiche, ma certamente credo, a buon diritto, di poter chiamare drammatiche. Questi sono innanzitutto problemi politici e non è la scienza né la tecnica che hanno spinto tutti i partiti responsabili del Paese ed il Governo a cercare la soluzione di essi. Con questi criteri, egregio collega Einaudi, noi non risolviamo nulla». Settantaquattro anni dopo, ora la Sardegna ricomincia il suo calvario autonomistico. Alla porta ci sono le pretese delle Regioni forti. Chiedono più soldi e poteri. All’Isola, però, ancora nessun riequilibrio insulare ed economico.

(2.continua)

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