La guerra cambia la vita, per sempre. È una di quelle esperienze che segnano un “prima” e un “dopo”. Si può sopravvivere alla guerra, naturalmente. Non si può esserle indifferenti. Lascia in eredità dolore, morte, ferite nel corpo e nell’anima. Lascia in eredità rancore, odio e ancora odio. Questa eredità è condivisa da tutti, anche se il suo peso non è uguale per tutti. È una eredità mortifera che accomuna vittima e carnefice, innocente e colpevole, aggressore e aggredito.

Per questa ragione è importante raccontare la guerra, anzi quello che succede alle persone coinvolte in un conflitto. Per questo è tanto difficile farlo perché nessuno di noi sa esattamente cosa scatena nell’animo degli esseri umani il tuonare dei cannoni e il sibilare dei missili. Nessuno di noi conosce qual è la soglia del dolore di un uomo o di una donna o cosa realmente si nasconde nella sua natura.

La giornalista indipendente russa Katerina Gordeeva ha scelto comunque di raccontare l’umanità in guerra, anzi travolta dalla guerra. Ha scelto di raccogliere le voci donne e uomini dell’Ucraina e della Russia che si sono trovati a tu per tu con uno dei cavalieri dell’Apocalisse. Uomini e donne che la guerra l’hanno vissuta e continuano a viverla sulla loro pelle. Dalle loro testimonianze, spesso dolenti, a volte furenti, è nato "Oltre la soglia del dolore” (21lettere, 2024, pp. 416), frutto dei continui viaggi di Gordeeva tra i centri profughi nati dopo il 24 febbraio 2022.

Si tratta naturalmente di testimonianze che non lasciano indifferenti. Anzi, spesso sono veri e propri pugni nello stomaco per chi come noi vive la guerra attraverso i media e tende a concentrarsi sulle forniture di armi, sui grandi annunci dei leader di una parte o dell’altra, sulle opinioni degli esperti.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Gordeeva pensa, invece, come in tempi bui non sia più il momento per inseguire scoop o effetti speciali. Viene, viceversa, il tempo in cui bisogna andare a vedere con i propri occhi, bisogna indagare e documentare. Soprattutto bisogna ascoltare i protagonisti, anche se le loro voci sono spesso lacunose, contraddittorie, frutto della propria esperienza personale e del proprio vissuto. Di fronte alla tragedia, per l’autrice nulla conta di più della voce dolente di un essere umano dolente e in fuga, a qualsiasi nazionalità appartenga. Nel suo racconto, così, le voci di ucraini, russi, abitanti russofoni dei territori contesi del Donbass ritrovano una loro unitarietà nello strazio dell’esperienza diretta della guerra e dall’evidenza della sua insensatezza.

Il grande regista tedesco Rainer Werner Fassbinder una volta ha detto che, se anche non si può cambiare niente, cioè non toglie che il dovere di noi tutti è documentare tutto. Di fronte al dolore e alla sofferenza, infatti, anche il silenzio diventa colpevole.

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