Poche figure del Medioevo sono famose come Federico II di Svevia, imperatore e re di Sicilia. Attorno questo sovrano vissuto tra il 1194 e il 1250 sono nate leggende e miti e su di lui sono state scritte decine di biografie che di volta in volta hanno privilegiato un aspetto oppure un altro della sua poliedrica personalità. Federico II è stato così presentato come esempio di modernità nei secoli bui del Medioevo, come “stupor mundi”, cioè “meraviglia del mondo” oppure come un tipico sovrano medievale, privo di alcuno tratto moderno.

Paolo Grillo, docente di storia medievale all’Università statale di Milano, nel suo recentissimo studio dedicato all’imperatore svevo, Federico II (Mondadori, 2023, pp. 348, anche e-book), ci conduce sulle tracce di un personaggio che, nonostante la fama, dimostra di avere ancora molto da rivelare.

Lo fa ponendo l’attenzione su uno degli aspetti meno indagati dell’azione del sovrano: l’interminabile guerra per ristabilire il suo primato sui comuni ribelli dell’Italia settentrionale, guidati da Milano, supportati dal papa e fermamente decisi a difendere quell’autonomia strappata nel 1183 a un altro imperatore, Federico Barbarossa, nonno di Federico II. Una guerra feroce, durata ben quindici anni, dal 1236 al 1250, che ha visto vittorie più o meno effimere, voltafaccia improvvisi e brucianti sconfitte, ha assorbito quasi tutte le energie di Federico, drenato gran parte delle ricchezze del regno di Sicilia e dissanguato lo stesso nemico. Insomma, il progetto di Federico II di ricostituire un impero universale sul modello dell’Impero romano non solo è stato vano, ma ha comportato un prezzo di sangue, di distruzione e di odio altissimo per l’Italia intera.

Possiamo allora ancora parlare per l’imperatore svevo di “stupor mundi”? Lo chiediamo direttamente a Paolo Grillo:

«Federico II fu indubbiamente una figura di grande rilievo: introdusse importanti riforme nel governo del Mezzogiorno e investì risorse nella cultura, come dimostra la fondazione dell’Università di Napoli. Su queste basi, però, nei secoli è stata costruita una vera e propria mitologia, che ha attribuito a Federico dei meriti e una ‘modernità’ che non aveva. Per fare un solo esempio: la colonia saracena di Lucera, spesso celebrata come un frutto della tolleranza religiosa di Federico, fu il frutto di una vera e propria deportazione degli arabi dalle loro terre in Sicilia affinché fossero obbligati a combattere negli eserciti regi in cambio della loro salvaguardia. Lo stesso attributo di ‘stupor mundi’, come gli storici hanno da tempo messo in luce, non ha necessariamente una connotazione positiva nel linguaggio dell’epoca e andrebbe tradotto in modo neutro, come ‘colui che ha impressionato il mondo».

Quanto contò la guerra nella vicenda politica di Federico II?

«Sebbene abbia una fama di sovrano pacifico, soprattutto per aver concluso la crociata del 1228-29 con una trattativa - ma l’iniziativa fu del sultano Al-Kamil, non di Federico, che invece era andato oltremare per combattere-, Federico II fu un principe bellicoso e, all’occorrenza, spietato. Represse con crudeltà tutte le rivolte scoppiate nel suo regno e, soprattutto, si impegnò in una lunghissima guerra, durata oltre 15 anni, contro Milano e gli altri comuni centro-settentrionali alleati del papa, che non intendevano sottomettersi a lui».

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Perché si parla così poco delle sue interminabili guerre?

«Le ragioni sono molteplici, non ultima la scarsa confidenza dei medievisti italiani con la storia della guerra. Però proprio le guerre contraddicono l’idea corrente (e imprecisa) di un Federico II quale sovrano pacifico e ‘illuminato’, anche perché egli le condusse spietatamente, compiendo crudeli rappresaglie. Inoltre, la guerra contro i comuni si concluse per lui con una cocente serie di insuccessi».

Guerre spietate e inutili, quindi?

«Gli esiti finali della guerra contro i comuni furono disastrosi. Il regno di Sicilia non fu direttamente coinvolto, ma dovette finanziare con le tasse le altissime spese belliche e conobbe impoverimento e inflazione. Nel centro-nord, oltre ai danni causati dai combattimenti, si ebbe un’esasperazione dei conflitti politici all’interno delle città comunali: i seguaci dell’Impero consideravano i loro avversari dei traditori, rei di lesa maestà, ma erano a loro volta ritenuti eretici dai sostenitori del papa. Nacque così quella frattura fra guelfi e ghibellini che tanto condizionò la storia italiana nel secolo successivo».

Ma alla fine chi è stato veramente Federico II?

«Federico II costruì una poderosa macchina propagandistica, che aveva come cuore la sua cancelleria, guidata da Pier della Vigna, attraverso la quale produsse una vera e propria esaltazione della sua figura, presentandolo talvolta come un uomo inviato da Dio per salvare l’umanità. I testi prodotti dalla curia pontificia lo descrivevano invece come il malvagio Anticristo, ispirato dal demonio per portare morte e distruzione. Il ‘vero’ Federico si situava probabilmente fra questi due estremi, ed è ancora oggi in parte nascosto dalla retorica usata per lui e contro di lui: un personaggio di grande rilievo sul quale però bisogna fare ricerca senza cadere negli inganni del mito».

© Riproduzione riservata