Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un ex dipendente dell'azienda chiusa dal 2010:

"Cara Unione,

la Keller è chiusa dall'oramai lontano 2010, il fallimento decretato dal tribunale nel 2014 con un debito accumulato che ammonta a circa 100 milioni di euro. Tutti i macchinari utili sono stati portati via. I capannoni cadono a pezzi e un possibile loro reimpiego deve passare attraverso nuova messa a norma e collaudo degli impianti. I macchinari rimasti, oltre ad essere obsoleti, non possono essere reimpiegati perché, come riportato nelle perizie tecniche commissionate dal tribunale fallimentare, autocostruiti e perciò non rispondenti alle normative di legge. Nessuna nuova società potrebbe utilizzarli e non so neppure cosa se ne farebbe. Sui tetti dei capannoni è installato un impianto fotovoltaico di una società terza, e perciò nessun'altra società entrandone in possesso potrebbe sfruttarli per realizzarci appunto un impianto fotovoltaico per recuperare qualcosa a livello economico.

Chi avrebbe l'interesse ad acquisire una struttura che tra l'altro richiede ingenti investimenti per una profonda ristrutturazione, la messa a norma e lo smantellamento di strutture obsolete inclusa la bonifica?

In Keller, tra personale diretto e indiretto, ci lavoravano circa 500 persone. I dipendenti Keller erano poco più di 300, molti sono oramai andati in pensione e altri hanno fortunatamente trovato altro impiego. I dipendenti delle ditte esterne sono finiti tutti sulla strada, licenziati. E a quanto mi risulta senza diritto alcuno a ricevere forme di sussidio a causa dell’esigua dimensione delle aziende di appartenenza. Perciò gli unici percettori di sussidio sono gli ex dipendenti, o quelli che restano.

Ora, è giusto e doveroso dare una prospettiva a queste persone, vittime anche loro del fallimento. Ma non in questo modo. Così si tengono appese e ricattabili, senza alcuna possibilità di trovare alternative.

Basta andare a cercare negli archivi della stampa per constatare che la storiella delle società interessate all'acquisto della Keller per rilanciarla e realizzare grandi progetti si porta avanti dal 2010. In tutti i casi si tratta di fantomatiche società iraniane, egiziane, austriache e irlandesi. Ho lavorato in Keller come responsabile del progetto iraniano, perciò conosco anche lo stabilimento e i macchinari presenti. E posso affermare senza tema di smentita che manco in paesi come l'india esistono più fabbriche di treni vetuste come lo era la nostra, la cui unica linea di fabbricazione, non funzionante!, era destinata a carrozze degli anni 70. Da anni oramai, come è facilmente immaginabile, le linee di fabbricazione degli stabilimenti sono robotizzate e altamente automatizzate: cosa avrebbe di così attraente il nostro stabilimento e dei dipendenti ultracinquantenni fermi da dieci anni? Restare attaccati a questo fantasma non fa bene a nessuno e trovo davvero inqualificabili governo sardo e organizzazioni sindacali che continuano ad alimentare inutili e deleterie speranze.

La chiusura della fabbrica è stata un ennesimo colpo per il nostro territorio già fiaccato da altri importanti fallimenti. Bisogna smetterla con questa barzelletta del rilancio. Abbiamo estrema necessità di slegarci da questo legame tossico e guardare avanti per costruirci un futuro diverso.

Antonio Muscas

(Ingegnere, ex dipendente Keller e responsabile progetto iraniano)
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