«Cara Unione,

è chiaro a molti ma non a tutti che il numero chiuso a Medicina rimarrà e, accanto a ciò, le innumerevoli ingiustizie per cui difficilmente un ragazzo proveniente da una famiglia non ricca potrà farcela a frequentare Medicina.

La facoltà di Medicina di per se stessa è costosa perché la professione si realizza solo dopo molti anni di studio. Ma il sistema di selezioni odierno e futuro è caratterizzato da innumerevoli spese: corsi accessori privati per la graduatoria nazionale e probabile assegnazione della sede accademica lontano da casa.

La nuova soluzione individuata dal Senato non risolve queste problematiche economiche delle famiglie, in più si aggiunge il fatto che la meritocrazia data dall'anonimato del test nazionale che evitava valutazioni soggettive favorenti "i figli di", è stata abolita. La domanda ora è: come cambiare l'accesso a Medicina? Intanto privilegerei la residenza, perché costa meno alle famiglie e allo stato che deve dare i contributi ai fuori sede. Poi favorirei gli insegnamenti a distanza. Ogni danno, inoltre, perché non dare la possibilità di investire gli esami fatti in altre facoltà per dare una "via di fuga" dal lungo percorso di medicina?

E poi ancora perché non mettere dei blocchi per l'accesso agli anni successivi garantendo una media non inferiore a 27 calcolata tra le valutazioni accademiche e valutazioni di test nazionali (vedi avanti). Quindi dare lo sbocco professionale dell'insegnamento di primo e secondo grado per alcune discipline, e ancora accesso libero senza alcuna graduatoria nazionale, ma inserendo dei test nazionali sugli esami svolti (a verifica della meritocrazia) che facciano media con il voto conseguito con il docente accademico. E ancora perché non inserire norme per evitare conflitti di interesse ad esempio vietando l'iscrizione alle Università dove ci sia come docente e/o ricercatore un parente fino al terzo grado.

Insomma, sì all’abolizione del numero chiuso ma inserendo elementi che salvaguardino meritocrazia e qualità che da un lato renderebbero libero l'accesso come libera la possibilità di cambiare strada accademica».

Giovanni Garzella

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