O gni anno che se ne va porta via con sé qualcosa, e qualcosa ci lascia: di bello e di buono, di brutto e di cattivo. Ogni anno viene ricordato per qualche sua peculiarità. Guerre, catastrofi, calamità, cataclismi, stragi hanno punteggiato da sempre la storia della Terra e dell’uomo; non sono quindi una prerogativa dell’anno che sta per finire. Che pure, di disastri, ne ha visti scorrere molti e terribili nei suoi dodici mesi. Sarebbe generoso se, per farsi perdonare, se li portasse via. Del suo lascito, invece, non sappiamo ancora valutare la portata, che potrebbe essere immensa e inimmaginabile nei suoi effetti positivi; sconvolgente in quelli eventualmente negativi. Parliamo dell’Intelligenza artificiale, quella creatura a mezzo tra l’umano e il divino che desta meraviglia e paura. In attesa che dal Quirinale s’involino nell’etere gli auguri del Presidente, affidiamo a suggello del 2023 morente e come auspicio per il 2024 nascente le parole dei poeti. I versi amari di Eugenio Montale: «Tra poche ore sarà notte e l’anno finirà tra esplosioni di spumanti e di petardi. Forse di bombe o peggio, ma non qui dove sto. Se uno muore non importa a nessuno purché sia sconosciuto e lontano»; e la speranza di Matsuo Basho, massimo esponente della poesia giapponese haiku: «Potessi vedere dischiuso nei fiori, il volto di Dio». Buon anno.

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