A bituati alla quasi afasia ratzingeriana, undici anni fa un po’ tutti salutammo con piacere la verve comunicativa di Francesco. Già davanti al “buonasera” di esordio in piazza San Pietro ci fu chi cadde in estasi per una formula così magica nella sua semplicità e semplice nella sua magia, neppure avesse detto fratelli e sorelle simsalabim (la scena sarebbe stata memorabile, in effetti). Undici anni dopo –anni di interviste in aeroplano, libri, telefonate - possiamo dire con rispetto che l’inarrivabile maestro di comunicazione ora sembra più un industriale della parola? Per l’esattezza un industriale alla Agnelli: grande fascino personale, ma più attenzione alla quantità che alla raffinatezza del prodotto. Viene da pensarlo leggendo i retroscena sul conclave che lo elesse, spiattellati nell’ultimo libro-intervista, con uno Scola croupier che rastrella i propri voti e glieli passa. Per i credenti quelle elezioni sono guidate dallo Spirito Santo, e i laici amano l’idea che resistano degli ambiti politici ammantati di segretezza e suggestione. Se dev’essere una Chiesa Ikea, colori chiari e ricostruibile nei dettagli, sveli perché per 40 anni non ha collaborato sul caso Orlandi, che bisogna fare perché paghi l’Imu e dove sta scritto che le donne vanno escluse dal sacerdozio. Altrimenti ci lasci anche il mistero legittimo e fascinoso del conclave. Grazie.

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