U n chierichetto curioso negli anni ‘50 chiese perché nelle visite pasquali quella casa non veniva benedetta: “è comunista”. Stessa sorte all’abitazione della coppia convivente more uxorio: concubini e peccatori per la chiesa del castigo eterno che non poteva reggere in eterno. Il Concilio del ’62 apriva i portoni: le band dei ragazzi accompagnavano le Funzioni con le chitarre e i “Barritas” a Roma cantavano la Messa beat, una ventata di gioventù contestata dagli ortodossi in zucchetto. Tutto fini lì e tutto cominciò lì: seminari deserti, chiese semivuote, i matrimoni civili superano i concordatari, pochi preti e sempre più anziani. Papa Francesco chiede una Chiesa in uscita e invita i consacrati ad andare oltre il sagrato per raccontare una Chiesa umana e fraterna, povera tra i poveri. È la Chiesa di Francesco che, a succedere al cardinale di Firenze Betori, ha chiamato un semplice missionario, Gherardo Gambelli amico degli “scartati”. È la Chiesa di prete Totoni che va nei bar di Bitti a spiegare il Vangelo e a bere una birretta. E anche quella dell’Osservatore Romano che ha chiesto un articolo al “comunista” Pier Luigi Bersani: “Il prete che vorrei”. Bersani ne ha ricordato due che non gli hanno dato la fede ma che gli hanno aperto la strada, mostrando il volto di una Chiesa maestra in umanità. I preti che vorremmo, anche solo per “chiacchierare”.

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