D icevamo, tre giorni fa, di quella cartolina natalizia che raffigura un presepe gender: un disgustoso stravolgimento della secolare iconografia della Natività firmato da una combriccola di pseudointellettuali politicamente frustrati, un gruppuscolo di migratori transumanti di partito in partito che hanno trovato riparo in un ostello chiamato + Europa. La loro parodia della sacra famiglia, irrisa e sbeffeggiata, è uno sputo in cielo. Se questa blasfemia offende i sentimenti religiosi di milioni di credenti e di chi, laico o persino ateo, trova nel cristianesimo le sue radici culturali e di civiltà, il messaggio che l’accompagna è pericoloso: «Il bello delle tradizioni è che possono cambiare». No, la tradizione è immutabile. Se cambia, muore. La tradizione è trasmissione di memorie, testimonianze, consuetudini da una generazione alle successive. Le tradizioni sono consacrate dalla storia, sono un patrimonio morale, sono i legami con il passato, segni permanenti dell’identità di un popolo. Chi vuole cancellarle ha mire sovversive, vuole sostituire la civiltà che esse rappresentano con il nulla della cancel culture. Un nulla offerto all’occupazione di chi, forzandoli, valica i nostri confini: non per integrarsi ma per integrarci. Per sostituire le loro alle nostre estinte tradizioni. + Europa è un inconsapevole cavallo di Troia.

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