Usare i "soldi che arrivano dall'Europa, quelli che chiamiamo i soldi di Draghi", per spingere le imprese ad anticipare il Tfr nella busta paga dei dipendenti. Liberando, spiega il premier Matteo Renzi, "per uno che guadagna 1.300 euro, un altro centinaio di euro al mese che uniti agli 80 euro inizia a fare una bella dote". La proposta comincia a prendere corpo nell'intervista di Renzi a Ballarò. Il governo - aveva spiegato Renzi - lavora "perché il Tfr possa essere inserito dal primo gennaio 2015 nelle buste paga, attraverso un protocollo fra Associazione bancaria italiana, Confindustria e governo per consentire un ulteriore scatto del potere di acquisto". Ma c'è un problema, che il presidente del consiglio solleva: "se diamo il Tfr in busta paga si crea un problema di liquidità per le imprese". E dunque "stiamo pensando di dare i soldi che arrivano dalla Bce alle pmi per i lavoratori". Dall'Abi, che ufficialmente non commenta, filtra solo che un meccanismo del genere sarebbe possibile esclusivamente su base volontaria. A Francoforte non ne sanno nulla. Confindustria non si pronuncia ma trapela preoccupazione per la liquidità delle imprese: nei giorni scorsi il presidente Giorgio Squinzi aveva parlato di "una situazione molto complessa". Ad oggi, Viale dell'Astronomia non conferma alcun confronto con il governo sul tema, mentre dall'esecutivo trapela che, in ogni caso, sarà evitata qualsiasi penalizzazione delle aziende. Tutto, in ogni caso, ricade sul rapporto fra banche e imprese in quella che, di fatto, sarebbe una concessione di un prestito bancario. La logica di Renzi è: visto che la Bce mette a disposizione delle banche fondi ingenti con il nuovo 'Tltro' ad un tasso bassissimo - lo 0,15% - vincolato alla concessione di prestiti, perché non usare quei soldi per attutire l'impatto dell'intervento sul Tfr? Il 'Tltro', di fatto, mette a disposizione fondi per le banche, incentivandole a prestarli alle pmi semplicemente attraverso la minaccia di ritirarli nel 2016 se le banche non avranno aumentato il credito. Il punto è che per le imprese, ad oggi, finanziarsi attraverso il Tfr, sul quale pagano una rivalutazione ben poco onerosa (1,28% medio ad agosto), è molto più conveniente che chiedere un prestito bancario (dal 3,85% a oltre il 5% a seconda della scadenza del finanziamento). La domanda di prestiti è già bassa per finanziare investimenti, perché dovrebbe accelerare per l'intervento sul Tfr? Inoltre vi è una stretta normativa di vigilanza che fissa paletti ben precisi cui le banche devono attenersi nel concedere prestiti all'impresa. Non è chiaro, dunque, da dove verrebbe l'incentivo (come un accordo con l'Abi per prestiti agevolati, magari con garanzie pubbliche) in grado di dare all'intervento sul Tfr, compensato dai prestiti bancari, una sufficiente massa critica. Questi i nodi che il Governo dovrà sciogliere.
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