Il 25 novembre del 2004, il giorno dopo la grazia concessa dal presidente della Repubblica Carlo Atzeglio Ciampi, Graziano Mesina tornava a essere un uomo libero dopo essere stato rinchiuso per anni nel penitenziario di Voghera. Ecco l'articolo di Giorgio Pisano che su L'Unione Sarda del 26 novembre di quell'anno racconta i momenti successivi alla scarcerazione.

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L'altro mondo è a un passo, oltre la cancellata di sette metri, oltre gli agenti della polizia penitenziaria, oltre la vigilanza armata. Graziano Mesina, le braccia piegate da tre enormi bustoni di plastica, si guarda intorno sperduto. Porte aperte, anzi spalancate: ma lui sta fermo. Passetto avanti e uno indietro. Fuori lo aspetta un esercito di telecamere e fotografi. Affamati. Tentenna per un secondo, poi si ricorda d'essere un balente di Barbagia e avanza lentissimo. Sono quasi le tredici. Intorno al carcere, la nebbia agli irti colli buca il cielo piombo. Fa freddo, c'è umido, si respira facendo le nuvolette di vapore. Graziano è perplesso. Ciccìa di lana scura, giaccone a vento marca Passport, jeans e naso che cola. «Scusate, sono raffreddato». Per quanto possa sembrare banale e deludente, sono le sue prime parole da uomo libero. Ballore, il fratello maggiore, gli è venuto incontro al volante d'una vecchia Punto: vorrebbe portarlo via saltando la stampa. Vetri appannati e finestrini rigorosamente serrati, finge di non vedere il grappolo di microfoni toc toc, finge di non sentire l'inviata di Studio Aperto che accentua le labiali nella speranza di essere notata: Studio Aperto. Stu-dioAper-to, capisce signor Ballore?No, che non capisce. Intanto la retroguardia cede: al momento di aprire il baule per gettarci dentro le sue valigie vuoto a perdere, Graziano viene chiuso in angolo. E adesso, che gli piaccia o no, deve parlare.

Certo che è contento, no che non se l'aspettava, sì che gliel'avevano annunciato, no che non vuole ringraziare. «C'è tempo per quello». Due parole per Ciampi? «Poi». Per il ministro Castelli? «Poi anche lui». Prospettive? «Non ne ho. Per il momento vado a salutare dei parenti». Dove? Interviene Ballore, strategia preventiva, filo di voce: «Destinazione ignota». Bugia: lo sanno tutti che la meta provvisoria è Crescentino (per pranzo), salutare cognata e nipoti, transito a Milano per un replay ad altri parenti e tappa conclusiva a Orgosolo. E dopo? «Questo è tutto un altro discorso». Pressato da altre domande-chiave («E' contento?, si sente felice?, qual è il primo pensiero che le è venuto in mente?»), Mesina intuisce che i giornalisti non hanno più niente di serio da chiedergli e si prepara alla fuga: «Se adesso mi volete scusare...».Scusato, ma non è finita. E' solo la conclusione del primo tempo, in attesa di interviste lunghe, racconti in esclusiva, reportage sulla primula rossa di Barbagia. Che appare, a dirla tutta, un po' ingrigita al di là dell'anagrafe (sessantadue anni). E appesantita da una vita, giocoforza, sedentaria.

La giornata d'attesa, dopo la concessione della grazia firmata dal presidente della repubblica e controfirmata dal ministro della Giustizia, è cominciata presto. Alle 8. Sotto un freddo a cinque gradi, il primo nucleo s'è appostato davanti all'ingresso del carcere (garitta blindata, sbarra abbassata e nessuno osi avvicinarsi): c'era la certezza che di lì a poco Graziano Mesina sarebbe apparso, finalmente libero dopo quarant'anni di galera. Al suo posto si fa vivo il nipote, Tonino Pisanu, 35 anni, orgolese silenzioso e discreto. Vorrebbe non parlare. Vorrebbe. «Ringraziamo il capo dello Stato e Castelli per aver consentito che Graziano, dopo una breve e vecchia parentesi di libertà, possa definitivamente tornare a casa. Gli ultimi dieci anni trascorsi in carcere sono stati molto, molto più pesanti dei trenta precedenti».

Mentre si chiacchiera infiorettando episodi della sua vita da fuorilegge, giusto per rinverdire l'epopea di Sardegna perché banditi, arriva un macchinone scuro. Ne viene fuori l'avvocato Enrico Aimi, che saluta con affabile cordialità e promette: torno subito. S'infila in guardiola e scompare dietro un portone blindato. Quasi tre ore più tardi, eccolo che torna. Palesemente turbato, anzi proprio infuriato. Solenne come un notaio davanti a uno stuolo di eredi, dichiara gelido: «Graziano Mesina è ufficialmente libero. Pochi minuti e lascerà il carcere. Questo è tutto quello che abbiamo da dire». Passo e chiudo. Salta in macchina e fa per andarsene fino a quando un cronista non gli blocca la strada come un ribelle cinese in piazza Tienamen di fronte ai carri armati. Scusi, non è che ha litigato con Mesina? «Quando mai». Allora perché non lo aspetta, perché se ne va? «A più tardi». L'avvocato Aimi non vuol raccontare quel che è accaduto quando s'è presentato alla guardiola della casa circondariale. Incaricato da una signora sardo-modenese (Greca Deiana) di occuparsi del caso, è entrato a passo di bersagliere: nel momento sbagliato. Ha chiesto del suo cliente: «Voglio vederlo». Manco per sbaglio: l'ordine di scarcerazione non era ancora arrivato e dunque niente visite. In seconda battuta, visto che gli agenti non sembravano solidali e commossi, ha proposto sicuro: «Vabbé, passatemelo al telefono». Quando si è sentito dire no per la seconda volta, ha vacillato. A seguire, s'è offeso. E senza aspettare cliente e scarcerazione, se n'è andato.

I registri di Voghera dicono che non risulta essere «difensore di fiducia» e che ha avuto con Mesina due colloqui: uno nel 2001 e l'altro nel 2003. Insomma, c'era e non c'era.Mentre il suo avvocato sgommava nel desolante vialetto dell'addio, Graziano Mesina - secondo braccio, cella singola numero cinque - è stato informato alle 9,35 in punto dello straordinario regalo di Natale piovuto da Roma: la grazia. Nello stesso istante, è stato informato anche della gente che aspettava fuori. Sos. Ha chiesto di telefonare a Ballore: «Vieni a prendermi per favore». Ballore, che arriva molte ore dopo da Crescentino, avrebbe voluto entrare fin dentro il cortile, oltre le sbarre, ma gli viene impedito: vietato l'accesso agli estranei. Così, resta lì, di fronte all'ingresso, proprio in mezzo: tra Graziano e i giornalisti. Tanto vale, a quel punto, subire qualche minuto di supplizio. Ressa, spintoni intorno alla macchina,urla: Mesina vieni a dirci una cosa. Mesina tace. Allora si cerca un sardo per ripetere l'appello in limba, lessico familiare: chiamatelo in dialetto, magari risponde. Difatti lo sventurato saluta timidamente con la mano. E aspetta, sorrisetto di circostanza, la prima domanda: ha dormito stanotte? «E' da quattro notti che non chiudo occhio». Ansia per la liberazione? «No, influenza. Ho il naso tappato». Ma ansia niente niente? «Beh, un po' sì: in questi casi capita sempre, no?» Quando ha saputo? «Ieri. E ho detto: vediamo, se è vero, dovranno scarcerarmi».

In realtà, Mesina era al corrente della faccenda da almeno una settimana, cioè da quando il direttore del carcere gli ha fatto sapere (ufficiosamente) che il ministro Castelli aveva espresso parere favorevole alla concessione della grazia. Voce baritonale nella calca: scusi Mesina, ma la grazia non l'avevano respinta? Domanda non raccolta, non è l'ora dei veleni questa. E nemmeno dei programmi per il futuro: «Un lavoro? Qualcosa dovrò fare, sicuro. Ma non so cosa». Tornerà a vivere ad Orgosolo? «Non ne ho idea. Sono appena uscito, datemi il tempo di pensare». Anche questa è una piccola omissione: aspettando la grazia (senza sperarci troppo perché in cella l'illusione può uccidere), Graziano ha programmato da tempo la sua prima settimana da uomo libero. «Appena possibile, voglio andare in campagna. Sentirne gli odori. A forza di stare in carcere, mi stanno uscendo dalla memoria: e questo mi dispiace». Inseguito da una cascata di parole, mostra stanchezza e s'immerge in macchina. Ultimo ciao e via, braccato da una pattuglia di inviati che spera (inutilmente) di bloccarlo lungo l'autostrada. Il freddo resta, il piazzale si spopola. Rimangono, divertiti e soli, dieci agenti: hanno perso il detenuto più importante di una galera che conta 250 ospiti e nemmeno un nome famoso. Quanto a Mesina, che dire? «Brava persona. Era qui da cinque anni, mai un verbale». E nemmeno un permesso premio, a voler essere precisi. Fino al giorno dei giorni.
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