Su quelle mine salta per aria il futuro di migliaia di bambini e adulti. Gli ordigni anti-uomo dilatano per generazioni gli effetti nefasti della guerra. Il 4 aprile – proprio mentre infuria la guerra in Ucraina - si celebra la Giornata mondiale contro le mine, una campagna internazionale di sensibilizzazione promossa dall’Onu per dare voce a tutte le vittime. È dal 1997 che si tenta di mettere al bando quest’arma. La Convenzione di Ottawa ne vieta l’impiego, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento, e impegna i Paesi firmatari a distruggerle, ma purtroppo la distanza tra le parole e i fatti è ancora considerevole. Solo 164 Stati hanno siglato l’accordo. Tra gli assenti Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Turchia, Armenia, Azerbaijan, Georgia, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Uzbekistan. Un dato positivo: l’Afghanistan ha firmato l’intesa e 14.400 persone sono state impiegate nella distruzione di oltre un milione di residui bellici esplosivi.

Il rapporto annuale

Presentato a novembre, il Landmine monitor 2021 fa il punto su uno strumento di morte più diffuso di quanto si immagini. La preoccupazione più grave è la lentezza con cui procedono le bonifiche: «Non ha raggiunto l’obiettivo la maggior parte degli Stati. Nel 2020 è stato registrato un numero eccezionalmente elevato di vittime da mine terrestri e residuati bellici esplosivi». Nei documenti ufficiali c’è una stima precisa: «Gli Stati hanno riferito di aver ripulito quasi 146 chilometri quadrati di terra, con oltre 135.000 mine antiuomo distrutte. Ciò rappresenta una diminuzione del 6% rispetto ai 156 chilometri quadrati disboscati nel 2019 e un aumento del 10% rispetto alle 122.270 mine distrutte quell’anno». Un dettaglio importante: «È confermato l’uso di mine terrestri anti-persona solo da parte del Myanmar durante il periodo che va da metà 2020 a ottobre 2021. Negli stessi mesi si è scoperto che gruppi armati non statali le hanno utilizzate in almeno sei paesi: Afghanistan, Colombia, India, Myanmar, Nigeria e Pakistan». 

Il Covid-19

La pandemia ha bloccato il lavoro del team di Mine Action «con la sospensione temporanea delle operazioni di sminamento e delle sessioni di educazione al rischio in presenza». Ha anche «creato nuove sfide in fatto di accessibilità e fornitura di assistenza alle vittime». Già, le vittime: ma quante sono? «Un numero elevato nel 2020 causato da mine terrestri e residuati bellici. Questo è stato principalmente il risultato di un aumento dei conflitti armati e della contaminazione con mine di natura improvvisata osservata dal 2015. Almeno 7.073 persone hanno perso la vita o sono rimaste ferite in 54 Paesi. Il totale segna un aumento di oltre il 20 per cento rispetto alle vittime registrate nel 2019 (5.853) ed è più del doppio del totale annuo più basso registrato (3.456 nel 2013). La Siria non firmataria ha registrato il più alto numero di vittime annuali, seguita dall’Afghanistan, membro della Convenzione di messa al bando».

I rischi

Li elenca Alessandro Mauceri in un’analisi sul sito specializzato notiziegeopolitiche.net: «Negli arsenali di tutto il mondo ci sono ancora milioni di mine antiuomo pronte all’uso, e la produzione non è mai cessata. Anzi, la ricerca indica 12 Stati come produttori: Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Singapore, Corea del Sud, Stati Uniti e Vietnam. La Russia starebbe sviluppando nuovi sistemi di mine antiuomo “intelligenti”, come emerso durante le esercitazioni militari annuali nel 2021». Morale: «A questi Paesi non importa delle oltre 122mila vittime di mine da quando è iniziato il monitoraggio globale nel 1999, di cui solo 86mila sopravvissute. Vittime per la maggior parte civili (87%). E per almeno la metà bambini saltati in aria mentre giocavano dove qualcuno aveva dimenticato di togliere le mine che aveva sotterrato».

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