Se pensate al rapporto tra fama e durata della carriera ci sono pochi dubbi sul fatto che i Beatles siano in testa alla classifica. Sono stati insieme per dieci anni – tra il 1960 e il 1970 – ma sono stati “più popolari di Gesù Cristo”, per usare una frase provocatoria di John Lennon. Soprattutto tra il ’63 e il 64, quando uscirono dalla Gran Bretagna e conquistarono sei città tra Europa e Stati Uniti e tennero parte dei loro 1400 concerti, tra palchi e tv.

A quel biennio straordinario è legata la mostra inaugurata oggi – 28 giugno – alla National portrait gallery di Londra, dal titolo “Paul McCartney, photographs 1963-64: Eyes of the storm”. L’esposizione, con la quale la galleria riapre al pubblico dopo tre anni di ristrutturazione, raccoglie oltre 250 foto che il bassista e coautore di gran parte dei brani del gruppo ha scattato tra il dicembre del 1963 e febbraio del 1964. I Beatles avevano conquistato una fama planetaria e ogni loro apparizione pubblica faceva impazzire le folle. A testimoniarlo ci sono migliaia di foto e di filmati realizzati da professionisti e appassionati, ma quelle del frontman, oggi ottantunenne, mostrano la sua visuale, approfondiscono un lato differente, meno stereotipato, inevitabilmente originale: solo lui con la sua 35 mm poteva fare quegli scatti perché in mezzo a uno sconfinato materiale pubblico il suo racconta momenti privati.

Ci sono ritratti e autoritratti, scatti nei backstage, ci sono le persone che lavoravano con loro, immagini scattate in barca, al mare, i fan newyorkesi che rincorrono la loro auto, le conferenze stampa. Lo stile è istintivo: non ci sono inquadrature studiate, solo espressioni e momenti.

«Chiunque riscopra un cimelio personale o un tesoro di famiglia viene immediatamente inondato di ricordi ed emozioni, che scatenano associazioni sepolte nella nebbia del tempo. Questa è stata esattamente la mia esperienza nel vedere queste foto, tutte scattate durante un intenso periodo di viaggio di tre mesi, culminato nel febbraio 1964», scrive McCartney. «È stata una sensazione meravigliosa, quella di tornare indietro nel tempo. Ecco il mio personale resoconto del nostro primo grande viaggio, un diario fotografico dei Beatles in sei città, a partire da Liverpool e Londra, seguite da Parigi (dove John e io eravamo stati semplici autostoppisti tre anni prima), e poi da quella che consideravamo la grande occasione, la nostra prima visita di gruppo in America, a New York, Washington D.C. e Miami».

Le foto – che illustrano anche un libro pubblicato in Italia dalla Nave di Teseo - mostrano  com'era essere un “Beatle” all'inizio della “Beatlemania” e come i fab four passarono dal suonare sui palchi del Regno Unito all'esibirsi davanti a 73 milioni di americani incollati alla tv all'Ed Sullivan show (una sezione della mostra è dedicata proprio a quello spettacolo). «In un momento in cui sulla band c'erano puntati milioni di obiettivi fotografici», si legge nella presentazione della mostra, «è quello di Paul McCartney che racconta la storia più vera di una band che ha creato la storia culturale, in uno dei suoi capitoli più emozionanti».

La mostra durerà dal 28 giugno al 1° ottobre ed è sostenuta da Bloomberg Philanthropies. 

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