«La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità».

Non è stato l’unico a esprimere questo concetto – incipit del suo saggio più noto, “La Rivoluzione umana” - ma certamente lo ha saputo trasmettere, prima di tutto con l’esempio, a decine di milioni di persone in tutto il mondo, che ne hanno fatto la loro missione di vita.

Per questo Daisaku Ikeda, morto il 15 novembre scorso a 95 anni, ha un posto di diritto nella storia e non solo in quella della Soka Gakkai, l’organizzazione buddista laica diffusa in 192 Paesi del mondo di cui è stato il terzo presidente e poi presidente onorario.

Considerato uno dei più influenti leader spirituali buddisti, seguace della filosofia riformatrice di Nichiner Daishonin, nasce nel Giappone militarista e conosce la guerra e i suoi effetti (perse un fratello) e anche per questo è stato un costruttore di pace. Lo è stato da leader spirituale, ma anche da filosofo, da romanziere e saggista, da costitutore di istituti che promuovono l’educazione, da instancabile mediatore capace di incontrare e influenzare leader di tutto il mondo.

Del resto il buddismo insegna che il dialogo, il perseguimento costante della pace a partire dagli atteggiamenti quotidiani e il rispetto per ogni forma di vita sono, o almeno dovrebbero essere, le basi dell’agire di ogni essere umano. Difficile perché i contesti in cui viviamo, i meccanismi di autodifesa, le dinamiche dei rapporti, la cultura nella quale siamo immersi giocano a sabotare in ogni momento queste convinzioni.

Per questo - ricorda il buddismo di Daishonin di cui Ikeda è stato a lungo il principale garante - sono fondamentali la preghiera attraverso la recita quotidiana di gongyo (la recitazione di alcuni brani del Sutra del loto, testo fondamentale del buddismo mahayana), e daimoku (la ripetizione costante di Namu myōhō renge kyō) e lo studio costante dei gosho, gli insegnamenti di Nichiren diffusi attraverso lettere, discorsi orari e trattati. Tutto ciò costituisce la “pratica” buddista, quell’insieme di insegnamenti filosofici, rituali mistici e azioni concrete che costituiscono le fondamenta della filosofia del fondatore della Soka Gakkai, seguita in Italia da circa 100mila persone e in Sardegna da circa quattromila.

Crescita personale, autodeterminazione, coscienza civica, difesa della pace e dei valori della libertà e delle differenze, dialogo e solidarietà sono stati una costante nell’agire quotidiano di Ikeda. Un costruttore di ponti. Perché – diceva - tra gli esseri umani come tra le culture e le religioni ci sono sempre punti in comune: bisogna coglierli e da lì partire per sradicare la violenza e costruire dialogo e pace. La chiamava “la diplomazia della gente comune”.

Per quarant’anni ogni 26 gennaio, data della fondazione della Soka Gakkai Internazionale, Ikeda ha inviato all’Onu e a leader di tutto il mondo una proposta di pace con le sue riflessioni sulla guerra, sulle armi, sulla convivenza degli esseri umani e idee per rendere più forte l’organizzazione delle Nazioni unite. Ha scritto, inviato messaggi alla sua grande comunità che ne ha sempre riconosciuto autorevolezza.

«La natura umana è molto sfaccettata e non è di per sé causa della violenza e della guerra», ha detto in un’intervista, rilasciata nel 2014 al giornalista neozelandese Alastair Thompson, che sintetizza bene parte del suo pensiero. «Ritengo che la sfida più impellente sia quella di promuovere un’etica sociale che metta al riparo la società dall’insorgere di psicosi collettive e focolai di violenza. Io credo che l’empatia, basata sulla comprensione del significato universale della dignità della vita, dovrebbe essere il fondamento di tale etica. Per non lasciare che il desiderio di proteggere la propria famiglia possa sfociare nella violenza e nella guerra, è d’importanza cruciale essere in grado di percepire i sentimenti degli altri – i membri di altri gruppi – ugualmente desiderosi di assicurare la sopravvivenza ai loro cari. È anche fondamentale ricordarsi sempre di non perseguire la propria felicità alle spese di quella degli altri, per non lasciare che il desiderio di potere e la nostra determinazione si trasformino in una minaccia per la sicurezza e la dignità della vita altrui».

Ikeda non ha mai avuto un dio perché il buddismo di Nichinen Daishonin non ce l’ha. Il nostro dio – è l’insegnamento - siamo noi stessi. «Siamo noi che attraverso le nostre azioni raccogliamo gli effetti, vita dopo vita». E ancora: «Ogni persona ha il potere di superare qualsiasi difficoltà, vivere un’esistenza di valore e influenzare positivamente la comunità in cui vive e il mondo intero. Non è solo fede – sosteneva Ikeda - è agire quotidiano».

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