Persea americana. Meglio conosciuto come avocado. Una meraviglia. Può pesare fino a un chilo e 100 grammi contengono 238 calorie. Impossibile non notare l’enorme seme fuori scala all’interno del delizioso frutto. Come una rara Gibson nella sua custodia foderata di velluto. Quale animale secondo natura ha il compito di inghiottire il frutto intero (se viene danneggiato rilascia sostanze tossiche) e compiendo l’iter contribuire al proliferare della specie? Questo animale non esiste. O meglio non esiste adesso un erbivoro, in America (terra d’origine della Persea) in grado di compiere questa operazione.

Gli ultimi si sono estinti 13 mila anni fa. Gonfoteri, gliptodonti, bradipi giganti. Si nutrivano dei deliziosi frutti disperdendone il seme. Come sappiamo questa tipologia di fauna si è estinta. Di fatto l’avocado, interrotta la perfetta catena di eventi programmata da madre natura, non sarebbe dovuto mai arrivare dentro i nostri toast. Tuttavia un aiuto inaspettato arrivò da un felino goloso, il giaguaro. Attratti dalla polpa succosa i felini riuscivano a ingurgitare i frutti senza danneggiarli. Il provvidenziale aiuto del Dio Giaguaro riuscì a metter una pezza. L’avocado continuò ad esistere nella florida America precolombiana sebbene non fosse più così diffuso. Ma il suo destino si stava compiendo. Con le caravelle arrivò la morte per gli indigeni e la salvezza per l’avocado. Mancando l’animale diffusore ecco arrivare all’orizzonte l’animale coltivatore. Ai giorni nostri l’avocado è diffuso in tutti i continenti. L’uso è entrato nella cucina internazionale. Un successo enorme. Ma un po’ come accade in un famoso film all’avvocato del diavolo anche all’avocado dell’uomo viene chiesto un prezzo da pagare. Non potendo parlare di anima qualcosa di più materiale. Sarà forse il seme? Quel gigantesco seme origine del frutto e causa dei suoi mali. Troppo grande per essere ingerito, ora inutile per gli esseri umani. Aggiungere che in tanti datano l’inizio dell’estinzione della specie umana al giorno in cui negli scaffali dei supermercati comparvero i mandarini sbucciati in una confezione di plastica.

Perché il seme è così importante? Una pianta senza semi non ha futuro. No future. È un mezzo di produzione. Non si può propagare con una riproduzione sessuale ma solo vegetativa, producendo piante che sono cloni identici. Pochi individui clonati milioni di volte. Queste piante artificiali non hanno nessuna resistenza. Basterebbe un problema nell’ingranaggio, (un parassita, un batterio) per cancellare dal creato il povero avocado, sopravvissuto all’estinzione dei mastodonti e all’arrivo dei conquistadores. La biodiversità spesso evocata invano è una tutela genetica all’estinzione. Mischiare il sangue e i geni rende le popolazioni più forti. Oggi quasi tutte le banane del mondo hanno lo stesso corredo genetico. La probabilità che le coltivazioni possano essere distrutte da un’improvvisa malattia è molto alta.

Si potrebbe porre rimedio facendo affidamento ai parenti selvatici della culture (Crop wild relative), ossia le piante selvatiche strettamente imparentate. Costituiscono una riserva genetica per migliorare e garantire le produzioni alimentari di prodotto chiave come le patate. Ebbene questi preziosi parenti soffrono l’aumento delle temperature e il cambiamento climatico. L’unione internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn), l'agenzia Onu che si occupa di tutela delle specie selvatiche ha di recente lanciato l’allarme. Tra le specie indicate come a rischio figura anche il nostro amico avocado, a cui gli esseri umani hanno riservato anche altre sorprese. In pratica l’avocado del terzo millennio si evolve come un pokemon. Per esempio è stato prodotto e messo in vendita In Gran Bretagna un avocado senza seme (non serve più) e con la buccia edibile (per chi avesse il coraggio di farlo).

È stato chiamato pensate un po’ avocado cocktail. Viene da chiedersi a questo punto se sia valsa la pena compiere uno spericolato percorso attraverso i millenni per fare questa fine e soprattutto quale sia la specie che merita l’estinzione. L’avocado o l’uomo?

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