Mezzo mondo, in queste ore, ha conosciuto l’esistenza di Qu Jing. Lei è la direttrice delle Pubbliche relazioni nonché vicepresidentessa di Baidu, l’equivalente di Google in Cina. Anzi: l’ex direttrice ed ex vicepresidentessa. Il suo potere, con obbligo di dimissioni, si è dissolto dopo quattro video pubblicati a stretto giro sui social mandarini e in cui la top manager ne diceva di ogni contro i diritti dei lavoratori.

Qu Jing, di sicuro, pensava di fare cosa gradita a Baidu, visto che in Cina nel settore dell’hi-tech vige la regola durissima del “996”, un acronimo numerico che sintetizza l’orario di lavoro dalle 9 delle mattina alle 9 di sera per sei giorni su sette. Una cultura tossica caldeggiata persino dal tycoon Jack Ma, fondatore di Alibaba, multinazionale cinese del commercio elettronico.

I video pubblicati da Qu Jing su Douyin, il TikTok mandarino, non sono stati da meno e aiutano a capire quanto il nostro Statuto dei lavoratori – legge 300 del 20 maggio 1970 – sia una conquista da difendere con le unghie e con i denti, a qualunque costo, perché viviamo ancora in una latitudine del mondo in cui lo stipendio è sì una necessità di sopravvivenza, ma ci sono diritti e valori che meritano la massima salvaguardia (qui verrebbe da aprire un’altra parentesi, viste le tanti morti bianche che si contano nel nostro Paese, con le aziende che “mangiano” vite e speranze, ma questa è ancora un’altra storia).

Si diceva, Qu Jing: la manager, madre di un bambino, ha fatto sapere di non conoscere nemmeno «quale classe frequenti mio figlio, perché io non ho tempo fuori dal lavoro». Una scelta di vita, condivisibile o meno, ma che se fosse personale metterebbe in automatico l’interessato al riparo da giudizi e pregiudizi. Invece Qu Jing ha detto che quell’approccio deve diventare una pratica universale per i dipendenti di Baidu. 

«Tenete sempre in mente che mi basta una parola per farvi diventare disoccupati a vita in questa industria», ha continuato la manager in un passaggio delle sue lezioni online, contestate da milioni di utenti. Qu Jing ha provato a rispondere schiacciando prima di tutto il tasto “Cancel” sul suo intero repertorio. Ma ormai era troppo tardi. Anche perché le parole della direttrice-vicepresidentessa sono state un’escalation di brutalità.

«Chi lavora qui, dev’essere disponibile 24 ore su 24, il telefono si tiene sempre acceso, non si chiedono ferie, non ci sono fine-settimana, si lavora anche cinquanta giorni di fila, non conta il vostro benessere, mi interessano solo i risultati: non sono vostra madre», ha tuonato ancora, convinta di raccogliere chissà quale consenso, anche da parte della propria azienda.

Solo su Sina Weibo, altra applicazione made in Cina paragonata a Instagram o Twitter, il dibattito sulle parole di Qu Jing ha incassato oltre 150 milioni di visualizzazioni. Un’onda gigantesca di indignazione che la manager di sicuro non immaginava. «Ho letto con attenzione le critiche, le ho trovate pertinenti – è stata la resa e la retromarcia della vicepresidentessa -: ci ho riflettuto e le accetto umilmente. Imparerò dai miei errori e migliorerò il modo con cui comunico con lo staff, mi interesserò di più ai miei colleghi».

Già, i colleghi. Una parola che prima delle scuse la direttrice di Baidu ha mai usato. Anzi. La manager, nei suoi video, ha sempre mantenuto la distanza gerarchica e anche ammonito i dipendenti contro l’eventualità di ottenere riposi in nome della genitorialità. Tutti comportamenti che avrebbero portato a licenziamenti in tronco, è stata la minaccia di Qu Jing, con referenze tali da non permettere più l’assunzione in nessun’altra azienda cinese.

«Chi lavora per Baidu non si sentirà mai parte di una famiglia, se questo è il livello dei dirigenti», ha scritto sui social un utente cinese. Insomma, sotto il profilo mediatico, l’ostinazione di Qu Jing a fare proseliti sullo stacanovismo senza limiti si è trasformata in un disastro mediatico. Il titolo Baidu, quotato in Borsa, ha perso il due per cento. L’ormai ex vicepresidentessa dovrò darsi molto da fare per risalire la china.

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