Tra un mese e dieci giorni si vota per le Europee: ogni partito, per ragioni diverse, guarda con speranza alle urne dell’8 e 9 giugno che in Italia faranno eleggere i 76 nuovi eurodeputati sui 720 del Parlamento Ue. Ma in questa tornata è al centro che si gioca il grosso della sfida politica.

Basta guardare le liste e le alleanze per capire l’importanza del voto moderato, un versante che riguarda in primis Forza Italia, ma interessa pure i partiti di Matteo Renzi e Carlo Calenda. E anzi da qui bisogna partire per analizzare i diversi destini.

Quando Italia Viva e Azione nascono, entrambe nel 2019, Renzi e Calenda immaginano di pescare consenso a piene mani in un enorme bacino elettorale. L’Italia, del resto, nasce democristiana. Ma alle Politiche del 2022 a sparigliare le carte ci pensa FdI, con il suo 26 per cento nemmeno inimmaginabile cinque anni fa, visto che alle Europee 2019 il partito di Giorgia Meloni non supera nemmeno lo sbarramento del 4 per cento richiesto dalla legge elettorale per entrare nella ripartizione dei seggi.

Ecco: il destino del centro è legato in buona parte al consenso che acquisteranno o perderanno i Fratelli d’Italia. Uno scenario ben chiaro alla premier che ha deciso di correre in tutte le cinque circoscrizioni elettorali delle Europee lanciando di fatto un “referendum” su se stessa: «Scrivete Giorgia (sulla scheda), è il mio nome di battesimo», ha detto da Pescara, dove maggiorenti e militanti si sono ritrovati per la conferenza programmatica nazionale. La sola presenza di Meloni in lista viene quantificata in un plus valore da tre per cento.

Tuttavia, l’assalto di FdI alle urne non è così lineare: le ultime competizioni elettorali, ovvero le Regionali in Sardegna, Basilicata e Abruzzo, hanno mostrato una Forza Italia in buona salute. Non era scontato. Dopo la morte di Silvio Berlusconi, lo scorso giugno, la successione azzurra faceva presagire liti e fughe. Fino al dissolvimento. Invece il passaggio del timone è stato molto ordinato e ha consegnato il partito nella mani di Antonio Tajani che in queste Europee, intuendo bene la potenza di fuoco di FdI, ha costruito un polo centrista allargato su base nazionale a Noi Moderati di Maurizio Lupi (presente anche nel simbolo). In più sono state costruite specifiche alleanze territoriali, come l’accordo stretto in Sardegna con i Riformatori, a cui i berlusconiani hanno lasciato indicare uno dei due candidati, precisamente Michele Cossa, mentre gli azzurri hanno scelto la quota femminile, con l’ex europarlamentare Maddalena Calia, ex sindaca di Lula, arrivata a Strasburgo per un anno, dal 2008, quando subentrò al siciliano Giuseppe Castiglione eletto nel 2004. 

Forza Italia, in Sicilia, guida la Regione con Renato Schifani e in Sardegna alle Regionali di febbraio è stata il terzo partito del centrodestra, dopo FdI e Riformatori. Nel collegio delle Isole l’obiettivo dichiarato dal polo moderato è proprio quello di «prendere un voto in più» dei Fratelli d’Italia, come ha detto lo stesso Schifani. La partita elettorale vale in totale otto seggi. Forza Italia punta a eguagliare i Fratelli d’Italia a quota due. Di sicuro con un partito azzurro forte si riduce lo spostamento del voto moderato verso FdI, che ha la sua collocazione politica molto a destra, ma Meloni lascia ai suoi colonnelli il compito di fare battaglie ideologiche. Lei, più sapientemente, fa proseliti più verso il centro, proprio per contrastare la crescita dei moderati.

Non è diversa la dinamica nella quale si inseriscono Italia Viva e Azione che per ora non hanno mai davvero convinto gli italiani. Né Renzi né Calenda, da soli, sono riusciti a sfondare la porta del consenso. Alle urne dell’8 e 9 giugno per i due partiti è addirittura ostico il traguardo del 4 per cento, tanto che l’ex sindaco di Firenze non correrà da solo ma ha costruito gli Stati Uniti d’Europa insieme a Bonino, radicali e socialisti.

Bisognerà aspettare lo spoglio del 10 giugno per capire qual è la forza moderata che più di tutti ha convinto e rassicurato di più gli elettori.

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