Diamo troppe cose per scontate. Anche un semplice caffè. Da sorseggiare la mattina o il pomeriggio, con la famiglia o colleghi e amici al bar. Un gesto naturale compiuto ogni giorno da milioni di italiani, che mai si sono chiesti forse come sia possibile far girare alla perfezione questo enorme mercato.

Dove si coltivano i chicchi che vanno a finire nelle nostre tazzine? Chi raccoglie le milioni di tonnellate di “oro marrone” che una volta tostate e polverizzate possono essere facilmente trovate sugli scaffali di qualsiasi supermercato per pochi euro al chilo?

E ora che il prezzo della materia prima è schizzato di oltre il 40% in pochi mesi in tanti sentono i primi scricchioli a un meccanismo che si pensava ben oliato.

Cortocircuito

Miracoli della globalizzazione che rendono tutto ovvio: anche il fatto che per assaporare una calda tazzina di caffè sia obbligatorio importarlo da decine di migliaia di chilometri di distanza, da quei paesi tropicali che possono garantire terreni e climi ideali per fa prosperare la delicata pianta del caffè. Ed è proprio lungo questo infinito ponte intercontinentale che qualcosa si è inceppato. 

I due leader della produzione mondiale sono il Brasile e il Vietnam: il primo assicura circa un terzo dei consumi, ma è stato colpito da un’emergenza climatica che ha danneggiato piantagioni e tagliato i raccolti; il secondo invece ha diminuito le esportazioni imponendo contemporaneamente un aumento dei prezzi stellare per ogni sacco venduto. 

Per di più ci si è messa la crisi del Mar Rosso che ha reso ogni container in transito dall’Asia ancora più oneroso per gli importatori. Per non parlare del caro carburanti registrato nel 2023, capace di aggiungere un ulteriore balzello alle aziende di torrefazione europee.

Futuro

Ecco perché è legittimo chiedersi se questo sia solo l’inizio. La crisi climatica sta infatti sottraendo ogni anno sempre più terreni adatti al caffè di qualità. Ciò significa che la disponibilità sarà sempre minore e i prezzi saranno destinati a crescere ancora. Uno scenario allarmante che potrebbe far salire presto una tazzina di caffè al bar a 2 euro. Forse 3. Chissà. D’altronde non avremmo mai pensato fino a pochi anni fa di pagare una pizza margherita anche 15 euro.

Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet Confesercenti respinge ogni allarmismo: «I costi di acquisto della materia prima caffè sono aumentati, e non solo quelli, ma la maggior parte degli imprenditori li sta assorbendo senza scaricarli sui clienti. In sostanza, il caro-tazzina ancora non c’è: e se è vero che nei centri storici delle località turistiche un espresso al banco può arrivare a costare in alcuni casi 1,5 euro, nella maggior parte dei bar si trova ancora tra 1 e 1,2 euro, lo stesso prezzo del 2020. E questo nonostante i costi per gli esercenti siano aumentati in questi quattro anni anche del 20%, tra materia prima, lavoro ed energia».

L’appello alla calma è rivolto soprattutto ai consumatori: «I clienti dispongono dunque ancora di una vasta possibilità di scelta, sia per prezzo che per qualità, e gli allarmismi sui rincari rischiano solo di fare confusione e fare di tutta l’erba un fascio. Poi, se sulla scia delle tensioni internazionali i costi della materia prima dovessero aumentare ancora, il rischio incrementi del prezzo di vendita, del tutto legittimi del resto, diventerebbe concreto. Stiamo comunque monitorando da tempo il fenomeno e abbiamo avviato colloqui con le torrefazioni».

Proteste

I rappresentanti dei consumatori, tuttavia, non sembrano altrettanto fiduciosi: «Il caffè espresso ha già subito continui aumenti dei listini negli ultimi anni, al punto che oggi il prezzo medio di una tazzina consumata al bar si attesta a 1,18 euro nelle principali città italiane – spiega Assoutenti – Solo 3 anni fa, nel 2021, il costo medio dell’espresso era di 1,03 euro: questo significa che gli italiani hanno già subito un aumento del 14,9% per quella che è una tradizione quotidiana irrinunciabile per milioni di cittadini».

A conti fatti la paura non è da poco: «Temiamo che i rialzi delle quotazioni del caffè possano portare nelle prossime settimane a incrementi dei prezzi sia per le consumazioni al bar (caffè, cappuccino, ecc.) sia per il caffè in polvere venduto nei supermercati» – afferma il presidente Gabriele Melluso. «Anche pochi centesimi di aumento determinerebbero una stangata sulle tasche dei consumatori, considerato che in Italia vengono serviti nei locali pubblici circa 6 miliardi di caffè all’anno per un giro d’affari dell’espresso pari a circa 7 miliardi di euro annui».

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