Non guardatelo così, non è un garage, nonostante le sembianze. Non fatevi ingannare nemmeno dal vicolo cieco spacciato per via Simplicio Spano, nello sterrato dove solitamente ci spediscono le giostre. Nelle mappe è periferia di Olbia. Nelle carte dell’assalto energetico, invece, è un crocevia mimetizzato di affari, pegni, scalate memorabili da nord a sud dell’Isola, scatole cinesi e intrecci societari da far impallidire i reticolati finanziari dei “Panama Papers”.

Quel finto “garage”

Quando arrivi nell’agro di Quartucciu e sbatti lo sguardo su quei primi container verdi con l’indelebile marchio «Made in China» capisci che i signori della “EnergyQ1Bess”, quelli dell’apparente garage di Olbia, non stavano scherzando. Nel 2021, quando l’assalto eolico e fotovoltaico all’Isola era ancora agli albori, stavano già pianificando come riempire la Sardegna di “batterie” cinesi per conservare in quella sorta di celle elettrochimiche l’energia prodotta senza motivo da pale e pannelli da spargere impunemente nei promontori più suggestivi della terra dei Nuraghi. Mai, anche chi come il nostro giornale, due anni fa, intercettò quel progetto nascosto nei meandri dei Palazzi di Roma, avrebbe potuto minimamente immaginare quel che si celava dietro quella che appariva una velleità da quattro soldi.

Da Olbia all’antica Roma

Un’operazione destinata a dissolversi in un attimo, davanti all’incedere di colossi e multinazionali, non foss’altro che quella società del vicolo di Olbia aveva un capitale versato di appena diecimila euro. Una “solidità” aziendale nemmeno sufficiente a coltivare l’illusione di poter costruire una distesa di Litio cinese alle porte di Cagliari. Invece, la storia racconta tutto un altro copione. La società che sta realizzando la più grande batteria elettrochimica d’Italia, da 180 megawatt, è nominalmente la stessa registrata alla periferia di “Terranova”, ma il 18 dicembre del 2023 ha cambiato soci e sede. Dal vicolo cieco della città gallurese al cuore potente dell’antica Roma. Il passo è stato breve, giusto il tempo per i vecchi soci, quelli di Olbia, di farsi approvare dal Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica il progetto della mega batteria.

Cedono passo e azioni

Da quel momento hanno tolto il disturbo per cedere passo e quote azionarie al colosso energetico di Stato, l’Enel. Un pacchetto “chiavi in mano” che non lascia adito a dubbi: l’operazione è da sballo. Le cifre riportate nel cancello d’ingresso del cantiere sulla nuova Statale 554 non lasciano spazio a sotterfugi: opere previste per 78 milioni di euro. Duecento containers “elettrochimici” di produzione cinese destinati, secondo i piani di Stato, ad una batteria da 180 megawatt di potenza capace di generare una montagna di incentivi di Stato pari a 183 milioni di euro in vent’anni. Un affare con molti zeri, per un gigantesco accumulo energetico destinato, però, a trasformarsi nel breve-medio periodo in una devastante “cattedrale nel deserto”, non solo per l’evoluzione tecnologica sempre più rapida, ma soprattutto per la provenienza cinese di quelle scatole d’acciaio piene di Litio.

Quel “pegno” sconosciuto

Quella consumata nell’agro di “Separassiu” è, però, solo la prima operazione di uno scacchiere ben più ampio capace di coinvolgere decine di società satellite e altrettanti accordi circospetti tutti “nascosti” nei meandri dei Palazzi “elettrici” della Capitale. Una partita tutta giocata sul triangolo Quartucciu-Olbia-Roma, con intermediari, uffici e meccanismi pianificati a tavolino per tenere tutto sottotraccia, a partire dal valore del “pegno”, quello apposto da Enel Green Power sul progetto della batteria cinese a ridosso dell’area metropolitana di Cagliari.

Il contratto segreto

Non un pegno di medioevale memoria, niente a che vedere con il “Monte della Pietà” di francescana ispirazione. Quella che i soci di “EnergyQ1bess”, Stefano Floris e Cinzia Nieddu, iscrivono obbligatoriamente nel “curriculum” societario è molto di più di una “garanzia”. Non un’ipoteca, ma quasi, visto che si tratta di «beni mobili», come le quote azionarie di una società a responsabilità limitata, solo apparentemente insignificante. Quello che “appone” Enel Green Power sulla società gallurese è un “pegno” da Codice Civile, un vero e proprio diritto reale di garanzia su un bene nominalmente altrui, ma che attribuisce al colosso elettrico un potere immediato e diretto, indipendentemente dalla persona che ne ha la disponibilità materiale. Un “pegno” che consente la massima copertura al creditore, in questo caso l’Enel, permettendogli nel contempo di omettere negli atti pubblici il valore dell’operazione.

Il sistema del “garage”

Il meccanismo che adottano si rivela in uno dei “pegni” sottoscritti davanti a Notaio e ceralacca: la società del “finto” garage di Olbia ha «concluso un contratto di sviluppo "progetto BESS di Quartucciu” – per 180 megawatt con la società "Enel Green Power Italia S.r.l.", con socio unico, soggetta a direzione e coordinamento da parte di "Enel S.p.A.", con sede in Roma, capitale sociale 272 milioni di euro».

Formica & elefante

In pratica un “elefante” finanziario come la multinazionale elettrica di Stato chiede ad una “formica” societaria, costituita da qualche mese, con un capitale di appena diecimila euro, di “sviluppare” nientemeno che un progetto da 78 milioni di euro, esattamente il costo della batteria cinese di Quartucciu. Di cifre, nemmeno nel contratto di pegno parlano mai. Il tutto è rimandato ad un “contratto” che, negli atti ufficiali, viene omesso con la formula del «che qui si intende per riportato», ma di cui non si fa mai cenno. Il meccanismo non lascia margini: «a garanzia delle obbligazioni la concedente si è obbligata a costituire apposito diritto di pegno sulla totalità delle quote della società veicolo, fino all'importo massimo garantito pari al prezzo di acquisto del singolo progetto come calcolato nel contratto». Lo “slang” giuridico-finanziario consente di dire tutto, ma ammette di negare le cifre di quel contratto. La chiosa finale è ancora più esplicita: «Il pegno è concesso fino all'importo massimo garantito pari al prezzo di acquisto del singolo progetto come calcolato nel contratto».

La moltiplicazione dei pegni

L’importo di quel “pegno”, però, non deve essere di poco conto se la società del “finto garage” di Olbia ci prende gusto, sino a trasformare lo studio “Alchemist”, al numero dieci di via Simplicio Spano della città gallurese, in una vera e propria moltiplicatrice di pegni e società, disegnando “militarmente” la scalata energetica all’Isola di Sardegna. La mappa e il grafico che riportiamo in questa inchiesta è la rappresentazione più eloquente di quel che è stato pianificato in ogni minimo dettaglio. Non una “compulsiva” declinazione alla costituzione di società da quattro soldi, ma un vero e proprio piano d’azione con dietro il più imponente dei colossi elettrici di Stato, l’Enel.

La “scalata” sarda

Uno scacchiere da tenere rigorosamente mimetizzato, contemplando un’ulteriore scissione societaria della multinazionale, con la costituzione di punto in bianco della destinataria delle azioni di “EnergyQ1bess”, la neonata “Enel Libra Flexsys s.r.l.”. La strategia, però, a quel punto era già dispiegata: dal 2021 sino a fine 2023 la “Alchemist srl” ha messo in piedi ben 14 società destinate a mettere le mani su incentivi milionari, attraverso “progetti specchio”, in grado di replicare il meccanismo efficacemente collaudato a Quartucciu. Una dietro l’altra nascono le società satellite del “sistema pegno” messo in piedi in gran segreto dalla società gallurese con Enel.

La mappa dello “scacco"

La maggior parte conferma la sede nella periferia di Olbia, qualche altra divaga verso il Poetto di Cagliari, da via Isola di Pantelleria a via Isola di San Pietro. Non sono originali con i nomi, salvo la localizzazione del progetto, cifrata e criptata, da ”Energymac3 srl” dedicata a Macchiareddu a “Energymac4bess srl" destinata alle batterie per la zona a ridosso di Monte Arcosu, da “Energyvallermosa2” con il comune destinatario delle attenzioni riportato per esteso a “Energyut1 Srl”, che sta per Uta. Uno scacchiere che va da nord a sud dell’Isola con almeno tre costanti: tutte società inattive, con capitale da diecimila euro, non sempre interamente versato, tutte “gravate” dal “pegno” di Stato, quello dell’Enel Green Power. Uno “scacco” dell’Isola nato in un garage di periferia, consumato nei piani alti dei palazzi di Roma.

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