Una lezione liberista: l’editoriale del 29 ottobre 2025
Di Alberto MingardiQuando, due anni fa, vinse le elezioni presidenziali in Argentina, Javier Milei era un one man show. Il suo partito non aveva uno straccio di organizzazione territoriale. Da che è entrato in carica a oggi Milei ha dovuto pescare consensi in un Parlamento in buona parte ostile. Negli ultimi mesi, un paio di scandali sembravano ipotecare il futuro del Presidente col chiodo (nel senso della giacca di pelle). Gli esperti erano concordi: il tenue ritorno di fiamma del neoliberismo argentino era giunto alla fine.
E invece il partito di Milei ha preso il 40%, gode ora di una cospicua compagine alla Camera, sarà in grado di mantenere il veto presidenziale in caso venga messo in discussione dalle opposizioni. In Argentina il Presidente può porre il veto su una legge del Parlamento, il quale a sua volta può superarlo con un voto a maggioranza dei due terzi. Ora il partito di Milei supera un terzo dei parlamentari e, con gli alleati, arriva a oltre un centinaio di rappresentanti. Non è ancora quel che si dice una maggioranza confortevole (la Camera ha 257 membri) ma è abbastanza per continuare a fermare eventuali leggi di spesa. Titolava lunedì il Wall Street Journal: gli argentini hanno dato a Milei un mandato per l’austerità. Per intenderci: difficile con questi numeri fare la riforma delle pensioni o della scuola (che avrebbero bisogno di un ampio accordo), ma è possibile continuare sulla strada tracciata. Cioè tagliare, snellire, fermare nuove leggi di spesa.
Che lezioni se ne possono trarre, per il nostro Paese? Fra il serio e il faceto, si potrebbe dire che la prima lezione è non fidarsi troppo degli esperti. I quali ci hanno raccontato che Milei era uno zombie elettoralmente parlando, salvo accogliere l’esito di domenica come un miracolo. Gli esperti non sono più equanimi di chi esperto non è e, quando si tratta di questioni politiche, i loro vaticini non sono liberi da pregiudizi.
Siamo però in sessione di bilancio e vale la pena concentrarsi sul tema che il Presidente argentino ha posto al centro sia della sua azione che della sua comunicazione: la spesa. Per rimettere in carreggiata il Paese e ridurre l’inflazione (dal 250 a un pur sempre rilevante 30% annuo) Milei ha ridotto la spesa pubblica di circa un terzo, nel giro di un anno. Si tratta di un aggiustamento fiscale senza precedenti. E, ciononostante, è riuscito a non perdere le elezioni.
La nostra legge di bilancio ora in discussione prevede un taglio di 150 milioni al finanziamento del cinema italiano. Il taglio per ora è confermato ma il ministero della cultura ha fatto sapere di essere impegnato nella ricerca di nuovi fondi.
Tutti amiamo il cinema italiano ma tre film finanziati dallo Stato su quattro non arrivano neppure nelle sale. Una situazione di questo tipo si potrebbe prestare a una battaglia in campo aperto. Siamo sicuri che le persone considerino i film al pari della sanità o delle infrastrutture, nella gerarchia delle spese? Sono davvero contente che i quattrini delle loro imposte vadano a finanziare non solo film che non vedranno, ma che nemmeno potrebbero vedere?
È solo un esempio. È vero che la situazione argentina è molto più drammatica della nostra. Ma le persone non hanno votato Milei nonostante i tagli alle spese, ma proprio per i tagli che ha fatto e per quelli che ha promesso. È chiaro loro che meno spesa equivale, un domani, a meno imposte.
È davvero impossibile qualcosa di simile in Italia? Vale la pena ricordare che l’Argentina è una repubblica presidenziale. Senza maggioranza in Parlamento, Milei riesce a far funzionare la sua motosega. Da noi governi con importanti contingenti parlamentari non riescono a erodere che di poco il corpaccione statale. Forse per fare le cose bisogna anche, prima, poterle fare.
Non è di buon auspicio che i pochi fan del nuovo modello argentino siano anche, oggi, proporzionalisti convinti. Vorrebbero una legge elettorale che agevolasse la loro sopravvivenza, si capisce. Ma non sono partiti del 3% che possono proporre agli italiani un'autentica trasformazione del rapporto fra individuo e Stato. Sta necessariamente a chi si vuole presentarsi agli elettori per governare, non solo per stare in Parlamento.
Alberto Mingardi
Direttore dell’Istituto “Bruno Leoni”

