Una vita trascorsa nel Latte Dolce, preso per mano sino alla Serie D, categoria sfiorata anche alla guida del Sorso nel 2019. Quindi le panchine di Castiadas, Monastir, Olbia, l’Eccellenza e la Promozione. Pierluigi Scotto, l’allenatore, ritorna, dopo un lungo peregrinare, a pochi passi dalla sua Sassari.

Com’è arrivata l’Usinese nel suo percorso?  

«Nel 2023, dopo la stagione in serie D con il Latte Dolce, mi chiamarono diverse squadre di Eccellenza e Promozione. Rifiutai il Villasimius di Lonis, nonostante mi stimolasse lavorare, dopo il periodo a Castiadas, nel Sarrabus. Scelsi la Macomerese, ma, tra problemi di strutture e di organico, non è stato un triennio semplice. Giocammo spesso fuori casa e avevamo grosse difficoltà anche in allenamento. L’Usinese mi ha convinto per due aspetti: il progetto a lungo termine e la vicinanza ai miei affetti».

Usini vorrebbe l’Eccellenza. Come vive la pressione? 

«Usini ha deciso di ripartire con un nuovo progetto. Il mancato salto in Eccellenza, pur avendo un organico forte e un’attaccante da 25 gol a stagione come Saba, ha convito tutti, società e giocatori che un ciclo si fosse chiuso. Si è deciso di ripartire con un nuovo progetto, che ho sposato in toto. Ho portato alcuni giocatori che conoscevo e ho promosso tanti giovani in rosa, ragazzi con buone prospettive. Ripartiamo con ambizione, migliorandoci gara dopo gara. La piazza, se la comunicazione sarà quella giusta, capirà come si sia voltata pagina e la bontà del nostro lavoro».

Qual è la ricetta per stare al vertice? 

«Credo che per centrare una promozione alla prima stagione, in qualsiasi categoria, ci voglia un portafoglio infinito (e noi purtroppo non l’abbiamo...). Ad Usini abbiamo scelto di programmare, con tante idee».

Con quali equilibri si prospetta il girone B di Promozione?

«Sarà un grande campionato. L’Alghero è la più attrezzata. Poi vengono Bonorva e Coghinas che si contenderanno le prime posizione. Posto che l'Alghero non uccida troppo presto il campionato».

La sorpresa? 

«L’Arzachena, lo dico in parte per il blasone. Ha ringiovanito molto e, per ora, ha fatto benissimo. Tuttavia, è troppo presto per parlare di sorprese».

Che stagione immagina per l’Usinese? 

«I gruppi che ho creato da zero, in questi anni, hanno avuto sempre un comune denominatore: una loro identità, l’ottenimento di risultati attraverso la costruzione, non speculando sui singoli ma dotando la squadra di una visione d’insieme. Il singolo è sì importante (lo stop di Stefano Ruiu, un giocatore cardine nella nostra organizzazione di gioco l’abbiamo accusata) ma conta maggiormente avere una nostra fisionomia. Quest’ultima deve esserci a prescindere. In questa stagione punteremo anche sulla crescita dei giovani. Ci vorrà del tempo e tanto lavoro settimanale: questo è il mio lavoro. Ci metterò, come sempre, tutto me stesso. Concludo con un pensiero sul ruolo dell’allenatore: un tecnico sta in panchina in media per 25 anni. Vince un campionato 4, 5 o 6 volte in carriera. Negli anni in cui non vince, a parar mio, deve insegnare e lasciare in dote qualcosa ai ragazzi. Se non lo fa, ha perso. E avrebbe dovuto, con ogni probabilità, fare altro nella vita».

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