Tra le pellicole che hanno maggiormente impressionato alla scorsa Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia - e che ora veleggiano a pieno ritmo verso gli Oscar - figura senza dubbio “The Smashing Machine”. L’opera di esordio del regista Benny Safdie, con protagonista Dwayne Johnson, ha rappresentato per quest’ultimo - già icona del wrestling e oggi tra gli interpreti di punta del cinema mainstream - un’autentica svolta di carriera, segnando l’inizio di un percorso artistico che preannuncia l’assunzione di ruoli mai sperimentati prima, dai toni e dai contenuti di chiaro orientamento drammatico.

Vincitore del Leone d’Argento per la miglior regia e atteso nelle sale il 19 novembre, il film affronta la figura complessa di Mike Kerr, lottatore professionista di arti marziali miste e campione dell’Ultimate Fighting Championship, ricordato anche per il picco di notorietà raggiunto verso la fine degli anni ‘90. Personaggio tanto vincente nelle competizioni sportive quanto fragile nella sfera personale, Kerr ha dovuto affrontare una profonda dipendenza dagli antidolorifici e una relazione instabile con la compagna Dawn Staples, interpretata da Emily Blunt. In questa dicotomia tra riconoscimento pubblico e disagio interiore, la fama impone all’atleta un prezzo altissimo da pagare, spingendolo a raggiungere la vetta rischiando di perdere l’affetto di chi gli sta accanto.

Lo stesso Johnson ha ammesso, prima dell’anteprima del film al Lido, di aver sempre temuto ruoli delicati come quello di Mike Kerr, come dichiarato in un’intervista a Vanity Fair: “Era molto autentico. Non provavo quella sensazione da molto, molto tempo, ero davvero spaventato e pensavo: non so se ce la posso fare. Ce la posso fare? Mi sono reso conto che forse queste opportunità non mi si presentavano perché avevo troppa paura di esplorare questo genere di cose... Volevo davvero l'opportunità di fare qualcosa di crudo e grintoso e mettermi a nudo. E all'improvviso è arrivato Smashing Machine”.

Accodandosi a queste riflessioni, Emily Blunt non ha potuto che elogiare lo straordinario lavoro del collega: “È scomparso totalmente nel personaggio, era inquietante. Fin dal primo giorno, era completamente altrove. Ha assorbito così tanto di ciò che Mark ha vissuto che è stato bellissimo vedere questa persona abbandonare l'immagine che doveva rappresentare, quella di The Rock, e dividersi a metà per questo ruolo”.

Un altro aspetto che ha impressionato sia la troupe durante le riprese sia il pubblico in sala all’anteprima è stata l’incredibile trasformazione fisica messa in atto da Johnson, che prima di ogni ciak richiedeva lunghe sessioni di trucco prostetico. Su questo punto, la star ha raccontato: “Stavo semplicemente seduto davanti allo specchio per tre-quattro ore e osservavo il cambiamento. C'erano circa 13 o 14 diverse protesi per il trucco. Leggeri cambiamenti, tuttavia penso che avessero davvero un impatto visivo. Prima di arrivare sul set, ero Mark Kerr e lo sentivo, da come camminava a come parlava, alla sua prospettiva sulla vita...”.

Durante gli incontri con la stampa per la presentazione del film, Johnson ha chiarito l’obiettivo cardine dell’opera e la complessità del suo personaggio: “Mark Kerr è stato il più grande lottatore del mondo a un certo punto, ma non si tratta di un film sulla lotta, si tratta di un film sulla vita. È una storia d'amore tra Mark e Dawn, ma è anche una storia d'amore tra Mark e lo sport. Nel film si raccontano i sacrifici e l'impegno per riuscire a dare il massimo sul ring. Come sapete, Mark è andato due volte in overdose, ed è fortunato a essere ancora vivo. Anche per questo che questa storia è così speciale”.

Riflettendo infine sull’ascesa e il declino del lottatore, ha aggiunto: “La vita di Mark Kerr rappresenta così tanto di chiunque in tutto il mondo, ma non è: oh, lui è il lottatore più grandioso al mondo; ma piuttosto: oh, ha lottato con la pressione, trovando un modo per gestire quella situazione. E ha faticato affrontando anche il dolore, oltre a trovare un modo per gestire le sue dipendenze. Ed è stato colpito duramente. A un certo punto era il più grande lottatore al mondo, e poi ha perso. E ha fatto fatica ad accettare quella sconfitta. Ha avuto, inoltre, due overdose, è fortunato a essere vivo e sono così felice che lo sia. Perché nei film come questi, che sono biografici, molte volte il protagonista non è vivo, non è più tra di noi, o lei non è più presente. E per questo motivo sono davvero grato che lo sia”.

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