Atteso con impazienza dagli storici amanti del franchise, è finalmente approdato nelle sale “Predator: Badlands”, settimo capitolo della saga antologica creata da Jim e John Thomas, che - nella caratteristica ambientazione horror-fantascientifica ormai divenuta inconfondibile - vede gli “yautja”, pericolosi alieni armati delle più moderne tecnologie, impegnati nelle loro cacce rituali a base di terrestri e xenomorfi.

Col ritorno alla regia di Dan Trachtenberg, già apprezzato per il lavoro compiuto in “Prey”, le vicende si spostano sul pianeta Genna, considerato uno dei corpi celesti più insidiosi dell’intero universo. Incentrando il racconto sulla storia di Dek, giovane guerriero emarginato dal suo clan, assistiamo a un viaggio solitario che lo porterà, in cerca di approvazione, a sfidare un nemico di forza estrema per superare la cerimonia d’iniziazione tramandata dal suo popolo. Durante l’impresa, Dek s’imbatterà in Thia, un’androide della compagnia Weiland-Jutani che - in cambio di aiuto - gli offrirà preziosi consigli e supporto.

Intervistato durante la promozione del film, Trachtenberg si è mostrato generoso nel condividere dettagli sul lavoro svolto insieme al team per rendere vivo e pulsante il mondo narrativo: «Tutto è cominciato con pezzi di concept art, volendo davvero assicurarsi che tutto avesse un senso ecologico ed evolutivo. Non volevo che il design fosse semplicemente fico. Anche perché è davvero difficile dire: rendiamolo fico, pensando di creare forme inedite, che non siano già state viste. È una cosa complicatissima. Ciò che aveva più senso per me era rendere tutto essenziale dal punto di vista narrativo. E far sembrare il mondo interconnesso. Quindi abbiamo avuto l'idea di far sembrare come se tutto sul pianeta potesse uccidere. Perfino il terreno. Anche l'erba e gli insetti. Quindi abbiamo pensato all'erba come rasoi. E a un certo punto c'è una creatura che ha bisogno di cacciare nell'erba. Quindi doveva essere disegnata come se avesse un'armatura, una corazza, che le permettesse di pascolare nell'erba. Questo ha ispirato il design del bisonte osseo. È stato quel tipo di pensiero che ci ha permesso di creare sia il pianeta che le specie animali che lo abitano».

Non meno attenzione è stata dedicata alla caratterizzazione di Dek, che si è voluto rendere il più possibile umano e stratificato, sia attraverso la relazione con Thia sia grazie al lavoro d’interpretazione di Dimitrius Schuster-Koloamatangi: «Il loro rapporto è il nucleo della storia. È divertente osservare una relazione tra due personaggi disperati, che scoprono di avere molte più cose in comune di quanto credessero. Penso che Dimitrius abbia dato grande intensità a Dek. Su carta non pensavo che sarebbe stato così. Non volevo che fosse un personaggio bidimensionale: doveva avere anche una fragilità. Penso che quel livello di aggressività sia una maschera per qualcosa che ha dentro. E Dimitrius ha davvero catturato l'essenza del personaggio. Mentre Elle è davvero brava con la commedia: è divertente, affascinante e luminosa. E poi in alcuni momenti dà una fisicità, una solidità, che entrambi i personaggi tirano fuori l'uno all'altra».

Un ulteriore punto d’interesse è emerso in un’intervista a The Direct, dove Trachtenberg ha rivelato l’idea alla base del nuovo capitolo: «Il primo seme dell'idea è stato: cosa succederebbe se fosse il Predator a vincere?». Da questa premessa era nata una bozza di trama ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui il Predator avrebbe dovuto «prendere gli str..zi nazisti a calci». Tuttavia, l’ispirazione iniziale è stata progressivamente ridimensionata, per evitare una deriva da revenge movie. Il regista ha infatti chiarito: «Non volevo che fosse un film slasher in cui lo slasher vince».

A testimoniare quanto il titolo fosse atteso sono gli straordinari risultati al botteghino, che segnano per “Predator: Badlands” il miglior debutto della serie, con un incasso globale di 80 milioni di dollari. Fino a poco tempo prima, il record apparteneva a “The Predator”, fermatosi a 73.5 milioni. Negli USA, il film ha registrato 40 milioni di dollari d’incasso, con una distribuzione in 3.725 sale e una media per sala di 10.738 dollari.

Non sono mancate tuttavia polemiche da parte di una frangia più integralista della fanbase, che ha accusato il film di “Disneyficazione” e di una presunta “trasformazione del franchise in chiave woke”. Ulteriori critiche sono state rivolte al rating “per famiglie”, assegnato per la prima volta a un titolo della saga. Che piaccia o no, il franchise di Predator sembra aver scelto di orientarsi verso contenuti meno inclini al gore fine a sé stesso. Una soluzione che, se da un lato potrebbe scontentare taluni, dall’altro potrebbe ampliare il pubblico come mai prima d’ora.

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